mercoledì 27 dicembre 2017

jail, thought #1




becoming a little moon—brightwarm in me one night.
thank god. i can go quietly. the doctor will explain death
and i’ll go practice.

in the catalogue of ways to kill a black girl, find me
buried between the pages stuck together
with red stick. ironic, predictable. look at me.

i’m not the kind of black woman who dies on the news.
i’m the kind who grows thinner & thinner & thinner
until light outweighs us, and we become it, family
gathered around my barely body telling me to go
toward myself.

it won't be a bullet
hollow bones
by tirunesh sherman

seven



- Mi vorrai ancora tra i piedi quando uscirai?

Mare singhiozza una risata affettuosa, esasperata.

- Tutto riguarda sempre te Marc, non è così? Io vivrò sette anni di galera, e ancora vuoi che sia io a rassicurare te.
- Tu ti lasceresti rassicurare da me?
- Non sei capace a rassicurare nessuno, Titus Red.
- Quando uscirò da qui avrò quarant'anni.
- Ma sempre trentadue...
- Ne avrò vissuti quaranta. Non so tra sette anni che persona sarò.
- Sette anni fa eri la persona che sei oggi.
- Non è così. Non ne hai nemmeno idea, ma non è così.

Marcus sospira, lei sospira a sua volta e gli prende la mano. Lo fa sul tavolo, dove tutto è visibile, per non irritare i secondini.

- Chi c'è qua fuori?
- Dopo di me entra tua madre, ed è venuto anche Jules.
- Sally non c'è?

Marcus le accarezza le nocche.

- Dice che verrà quando esci, tra tre giorni.
- Tra sette anni.
- Mi dispiace honey bee.
- Digli di non venire e basta.
- Io verrò a trovarti tutti i giorni, ho preso una stanza allo Sheraton.
- Ogni due anni.
- Meglio di niente, no?

Mare sorride piano. Per un attimo negli occhi si affaccia un lucore tremante.

- Hai paura sweet pie? Non devi, andrà tutto bene. In prigione te la cavi se tieni la testa bassa e trovi subito la protezione di qualcuno di grosso. A te piacciono anche le donne, trova quella più grossa e incazzata e diventa la sua fidanzata. Andrà tutto bene.
- Come sai queste cose?
- Me le insegnava mio padre.
- Di lui non parli mai.
- Ne ho parlato a te. A te ho raccontato tutto, e tu hai raccontato tutto a me. Sarà ancora così quando uscirai.

Quando uscirà, quando uscirà. Lo ripete a mente, ne può quasi sentire il sapore contro il palato. Quando uscirà sarà tardi per tutto. Sarà qualcun altro.

- Mi manca Tish, Marc.
- Manca anche a me.
- Pensi che mi mancherà ancora, quando uscirò?

Marcus boccheggia, indeciso.

- Oppure la dimenticherò?
- Non la dimenticherai.
- O forse sì, come puoi saperlo?

Vorrebbe risponderle, ma alle sue spalle appare una divisa.

- La tua vasca è pronta, Sherman: le visite sono finite.
- Ma c'è sua madre qua fuori...
- Le visite sono finite.

Mare si riempie il polmoni. Sorride e si alza in piedi. Marcus, stordito, si alza subito dopo di lei.

- Ci vediamo tra tre giorni allora, okay? Tra tre giorni.

Mare non risponde. Tra sette anni. Mentre il secondino la strattona via, si chiede se non dimenticherà anche lui.

domenica 17 dicembre 2017

only three of us left


In Ohio, a novembre

"Grazie per essere venuta."
"Grazie per avermi invitato."

Lei e Jules si sono abbracciati strettissimi e lei per un attimo ha temuto di sentire le proprie ossa scricchiolare. Sono anni ormai che nessuno dei due festeggia il proprio compleanno senza Tish, e quest'anno hanno girato attorno all'idea di vedersi per settimane.

Ma alla fine ha funzionato tutto alla perfezione. John e Roselynn - i genitori di Jules - le hanno scritto loro sponte di volerla rivedere, lei è riuscita a sistemare tutto in modo da avere quell'intera settimana libera, addirittura Marc ha sospeso le interminabili ristrutturazioni alla sua villa a Beverly Hills per volare fino a Cleveland. Lui e Mare si abbracciano in maniera più sfuggente, lei gli poggia un bacio sulla guancia che lui non riesce a ricambiare in tempo prima che lei faccia un passo indietro. Roselynn le cinge le spalle e la conduce in salotto, dove le farà vedere delle foto che ha ritrovato di recente, dove tutti loro ragazzi sono ritratti insieme, a fare gli stupidi nella neve. Prima di sedersi, però, lancia un'occhiata rapida al cortiletto oltre la finestra e tira le tende fino in fondo.

- - -

"Sono felice che sei viva."

Mare ride ma a Jules non importa. Sia lui che Marc sono ubriachi, e si sono infilati nella cantina della casa come degli adolescenti che si stanno nascondendo dagli adulti.

"Neanche un sorso? - Marc le oscilla davanti un bicchiere pieno di whisky comprato al discount - io a questa cazzata della sobrietà non ci credo, non ce l'hai mai avuto un problema con l'alcol, tu."

Mare non si offende, ma non accetta nemmeno l'offerta. Sprofonda un po' di più nel divano polveroso. "Anch'io sono felice di essere viva", risponde a Jules in differita, sorridendogli. Jules singhiozza una risata. "Tu e Tish non vi siete mai somigliate, lo sai?"

"Cosa?"
"Tu e Tish. Lo so che siete uguali, fisicamente, lo stesso naso e tutto, ma non vi avrei confuso mai, dal primo giorno che vi ho conosciute. Tu hai... hai..."

"Una faccia da stronza", interviene Marc, gioviale.
"No, cioè sì, c'entra quello penso. Una faccia da stronza nel senso che sei come una cornice chiusa, e Tish aveva... Tish era..."

Mare sorride piano. "Tish era tutto il cielo."

"Sì", Jules lo mormora mentre si asciuga gli occhi "Tish era tutto il cielo."

Marc, mortificato, guarda il fondo del bicchiere finché non gli viene da alzarsi in piedi.

"Andiamo a un bar a bere qualcosa di decente? Dai cazzo alzati, dove hai le chiavi?"

Jules le tira fuori, Marc le prende. Mare ne contempla il taglio di capelli per qualche istante: adesso ha i lati dei capelli rasati, la parte davanti tagliata in un caschetto francescano e disordinato, quella dietro ancora lunga, raccolta in due treccine che le ricordano vagamente Willie Nelson. Si sporge in avanti e gli raccoglie delicatamente le chiavi dalle mani.

"Forse è meglio se guido io."

Sono tutti d'accordo.


- - -

"Meditazione", risponde a Jules mentre guida per le strade innevate di Youngstown, "meditazione soprattutto, yoga... avevo preso a correre ma dopo la prima caviglia slogata ho iniziato con il nuoto."

"E ti è sufficiente?", Jules ha la bocca impastata dall'alcol ed è seduto accanto a lei, Marc invece è sul sedile posteriore canticchia a se stesso un ritornello che lo ha folgorato e non vuole dimenticare.

"No, certo che no. Ma mi tiene viva e mi tiene lucida." 
"Perché non te ne vai? C'è un mondo intero là fuori, un... se avessi dovuto indovinare, avrei detto che ti saresti data alla macchia come tutti gli altri superumani, quelli della... della Young Gifted School. Perché non l'hai fatto?"
"E poi fare cosa, Jules?"

Sorride guardando oltre il parabrezza. Jules le indovina nella piega delle labbra un risentimento rassegnato.

"Come sarei riuscita a guardarmi in uno specchio se avessi rinunciato a tutto per salvare me stessa? Ci sono milioni di mutanti che non hanno l'opzione di scappare, di darsi alla macchia. Con che faccia avrei potuto parlare per loro se mi fossi sottratta a ciò che dovranno patire, solo perché ne avevo la possibilità?"

Jules rimane a guardarla stordito. C'è un lungo momento di silenzio.

"I am ashamed I think maybe sometimes..." Marc strabocca nei sedili davanti con il busto, schiacciando il naso e la bocca contro il collo di Mare le canta addosso pochi versi "maybe sometimes I might have used tricks to make you like me more, when I found you I was running wild, let's get out of here, what's the trouble here..."

Barcolla fuori dalla macchina non appena Mare la ferma nel grande parcheggio pieno di fronte all'unico bar aperto della zona. La sua ebrezza la irrita e la fa ridere allo stesso tempo, gli passa una mano dietro la schiena e lo fa camminare dritto, richiamando ogni tanto Jules perché possa seguire la loro voce, come farebbe con un cane cieco.

Capisce che c'è qualcosa che non va quando nota che delle persone si stanno voltando verso di loro. Ha un attimo di incertezza in cui non sa se rallentare o accelerare. Dura due secondi, ma sono troppi: prima ancora che Marc e Jules possano rendersi conto di qualcosa, un gruppo di ragazzotti non meno ubriachi di loro capitombola sulla loro strada.

"Sì dai te l'ho detto che è lui con quei capelli del cazzo"
"Ce lo fai un autografo Titus? Il grande Titus Red, questa è la tua fidanzata, la figlia mutante di Sally Sherman?"

Marc non si rende conto subito di cosa stia accadendo, e forse in un'altra situazione Mare non gliene farebbe una colpa: non capisce perché non ha mai vissuto niente del genere. Le passa un braccio attorno alle spalle inchiodandola sul posto, gongola "magari ma non mi si prende neanche quando la supplico per cui scopiamo entrambi con altra gente". 

Mare gli poggia una mano sul petto e prova a spingerlo indietro. Jules fa un tentativo simile, ma troppo poco energico perché possa avere un risultato.

"No dai davvero se io fossi una donna la darei solo a Titus Red"
"Ma tu sei quella del libro che l'America è una merda no? Bella merda, lo sanno tutti che tutti i mutanti stanno sul welfare con le tasse che pago io e neanche vi sta bene?"
"Ci fai vedere le ali?"

L'ultima richiesta è quella che la mette più in allarme. Il ragazzo non avrà più di venticinque anni, non è molto alto ma ha spalle larghe, una mascella tagliata con l'accetta, lo sguardo opaco di alcol e un'insoddisfazione che a Mare sembra pura rabbia.

"Non posso, non è legale."
"Ma è legale se inizio a menarti, no? Perché è per difenderti."

Si fa più vicino di quanto Mare non vorrebbe.

"Dai facci vedere, a me piacciono, fammele vedere."

Il ragazzo allunga un braccio in avanti, le dita tozze le sfiorano le clavicole, Jules la strattona indietro e Marc si proietta in avanti, con una furia confusa e improvvisa che gli fa agitare tutti gli arti allampanati alla ricerca di qualcosa da colpire alla cieca. Succede tutto nello stesso istante, e cinque minuti dopo è già finito tra labbra spaccate, occhi neri e nasi rotti.

"Sei arrabbiata con me? Non essere arrabbiata con me pretty punk, honey bee, lovely dovey dove."
"Non sono arrabbiata", dice la verità. A volte se lo scorda, ma sa anche lei che, prima di essere Titus Red, Marcus Brown è stato qualcos'altro, qualcun altro, un ragazzino iroso e scavezzacollo. Gli ha permesso di poggiare la testa sulle sue gambe e ora gli tiene il ghiaccio sullo zigomo.

"Jules si è addormentato?"
"Credo di sì. Oppure è svenuto."
"Ti piaccio ancora?"
"Abbastanza."
"Anche con le rughe avviato per i quaranta e i capelli di merda con le treccine che ti fanno schifo?"
"Soprattutto in quel modo."
"Perché non mi vuoi sulla tua isola, moon pie? Me lo chiedo sempre. Che cazzo ti ho fatto che non mi ci vuoi..."

Mare non risponde, si limita a passargli docilmente le nocche sulle parti del viso non gonfie di botte. Lui continua a fare la stessa domanda, finché non si addormenta, e lei si addormenta poco più tardi.



venerdì 5 maggio 2017

Alexander Hamilton

Marzo 2025, Beverly Hills, California

La vecchia stanza di Tish è rimasta come un decennio prima, ma ora che è tornata a viverci, anche se per poco, è di nuovo tutta scombinata. Mentre lei si fa un bagno, Mare si è stesa sul letto e ha cercato tra vecchi libri qualcosa da leggere per fingere di non essere lì con l'ansia che scivoli, o perda i sensi e si faccia male nella vasca. Trova un vecchio volume del 2004 che lesse così tante volte da consumarne le pagine, assottigliarne. Una biografia di Alexander Hamilton piena di annotazioni, sottolineature e appunti scritti fittamente lungo tutti i bordi delle pagine.

Quando Tish esce dal bagno avvolta in un asciugamano, scrolla le ali schizzandole acqua addosso, e ride quando la vede rotolare di lato sul letto per proteggere il libro.

- Oh God, non di nuovo quel libro, passasti un anno a non parlare d'altro, non ti sopportavo più.
- Potevi dirmelo.
- Sono abbastanza sicura di avertelo urlato in faccia, esasperata, più di una volta.

Mare storce le labbra, tira su la schiena e le fa spazio sul materasso.

- Ma ha senso. Ti sei sempre sentita un po' Hamilton.
- E che ne sai.
- L'ho riletto di recente.
- E' per questo che ce l'hai qui?
- M-mh. 
- Mi piaceva la sua ostinazione.
- Non solo.

Tish si mette in ginocchio sul letto, con il bacino sui talloni e le mani sulle gambe. Sgranchisce ali enormi, ancora mobili per quanto incapaci di sollevarla in volo. Negli occhi le vede serenità che non riesce a penetrare. Si somigliano quasi del tutto, ma pressoché nessuno le ha mai confuse: di quella serenità Mare non è mai riuscita a imparare il metodo, e quando la gente la guarda vede soltanto la promessa di un uragano.

- Che intendi?
- Era un orfano, nato dal niente, fattosi da solo grazie al suo talento e alla famiglia che si era conquistato.

Mare ride.

- Abbiamo dei fondi fiduciari, Tish. Non ci definirei "fatteci da sole".
- Io sì. Te, almeno. Ricordi anche tu com'era la nostra vita, prima di... tutto questo. E tu hai imparato a soddisfare Jake e Rachel molto prima di me. Non so se si sarebbero mai affezionati a me, senza le ali. Senza tutta la preoccupazione che hanno dovuto provare.
- Non dire così.

Mare si incupisce, Tish sorride e le dà una schicchera su una caviglia, per infastidirla.

- Hamilton parlava troppo e scriveva con la foga di chi non aveva tempo da perdere. Non aveva paura di litigare anche con i suoi teorici alleati pur di restare fedele alle proprie idee, era un visionario. Combatté una guerra e creò una nuova nazione.
- Cos'altro?
- Morì prematuramente, in un duello. E tu pensi che morirai prematuramente.

Mare oscilla all'indietro come sotto l'energia di un rinculo.

- Lui era solo, io ho te. No?
- Lui perse un figlio.
- Cosa vuoi dire?

Mare finge di non vedere il percorso di lividi che percorre il braccio destro di Tish. Colpi leggeri che da chiunque altro sarebbero assorbiti senza danni, colorano invece lei di grigio e viola.

- Ho letto il tuo libro.
- Lo so che l'hai letto.
- E hai paura di chiedermi che ne penso.
- Che ne pensi?
- Che citi uno schiavista per sostenere le tue tesi.
- Lo so, ma è Thomas Jefferson.
- Non ti è mai importato.
- Non fingere di non capire il motivo per cui era importante...
- Lo capisco benissimo, ma il mio problema è qui, Miràr. 

Tish prende un respiro profondo. I suoi polmoni enormi incamerano ossigeno finché le costole fragili non le fanno male.

- E' un libro feroce, doloroso, visionario e ispirato. Ma è anche un libro disonesto.

Mare solleva le sopracciglia in un'espressione incredula, offesa.

- Disonesto?
- Lo presenti come un'utopia in modo da non dover chiarire le azioni da intraprendere per realizzarla, ma tu non stai pensando a un'utopia, e non hai scritto un romanzo: hai scritto un trattato politico. Vuol dire che hai già pensato a come ottenere ciò che immagini, ma che hai deliberatamente deciso di tenerlo vago. 

Mare boccheggia. La lucidità di Tish è cortese e spietatamente chirurgica.

- Quindi, conoscendoti, ho una sola domanda per te, ed è una domanda a cui so che non risponderai: cosa c'è di così terribile nell'esecuzione dal farti decidere di tenerla nascosta?

Mare è senza parole. Scende dal letto a piedi nudi lasciandosi dietro la  biografia di Alexander Hamilton. Vorrebbe muoversi, ma finisce solo con il girare su se stessa. Apre e chiude la bocca per un paio di volte prima di parlare.

- E' un posto in cui tu vivresti?
- Per essere libera di volare? - Tish ride in maniera cristallina, infelice, poi si stringe nelle spalle - dodici anni fa, forse sì. Adesso mi bastano paradisi molto più piccoli, Miramàr. Jules mi basta. Voi mi bastate. Ma non vuol dire che tu non debba andare avanti. Ci sono migliaia di Tirunesh Sherman diciottenni, là fuori, per cui la tua Hyperborea vale ogni spanna delle loro speranze.

Mare tentenna. Ha qualcosa incastrato nel petto.

- Non lo so. - ironizza, infelicemente - Hamilton aveva trentaquattro anni quando diventò il primo ministro del Tesoro degli Stati Uniti d'America.
- E George Washington ne aveva cinquantasette quando diventò il primo Presidente.

Mare ride. Tish invece no.

- Non ti lascerai andare, vero?

Mare allunga lo sguardo su di lei. Non risponde finché non vede il suo sorriso tenue.

- Dopo il matrimonio. So che non mi lasci andare facilmente, mh? 

Mare batte le palpebre un paio di volte, il cuore le ha saltato un battito.

- Penso che sopravviverò. - risponde quasi senza voce.
- Prometti che sopravviverai?
- Tish...
- Prometti?
- Okay. Lo prometto.

- Bene, - sospira Tish - è l'unica cosa che mi serve di sapere.

Rimangono in silenzio per qualche istante, ed è di nuovo Tish che prende la parola per prima.

- Hamilton aveva qualcosa da dimostrare, la propria storia da smentire. La sua vita è iniziata con uno sgambetto del destino, e così la nostra, la tua. E' questo che hai percepito da adolescente, ed è questo che adesso provi a realizzare con la tua vita adulta. Lui non bruciò nessuna occasione, e ora non devi farlo neanche tu. Hai ancora un milione di cose da fare, e puoi farle tutte. Devi, o non sarai mai in grado di perdonare te stessa. 

- - -

Maggio 2025, Philadelphia, Pennsylvania

La tentazione di fermare tutto sotto la minaccia dell'ennesima apocalisse è grande.

Ma quando alza la testa, e vede quella specie di enorme disco che contiene laghi e palazzi, non può fare a meno di pensare a una cosa soltanto.

C'è una città sulle loro teste, e non appartiene a nessuno che abbia diritti legali di proprietà sulla Terra.

In ciò in cui tutti vedono un disastro, lei si costringe a vedere un'opportunità.

giovedì 27 aprile 2017

Routh's Place


Ne emerge di tanto in tanto, poi riaffonda. Routh sta facendo esattamente ciò che lei le ha chiesto di fare, ma ogni volta che le mette un piatto davanti si sente aggredita, e la odia con una furia cieca che dura solo finché non ha svuotato il piatto. A volte ci mette ore.

Marc le ha scritto, ha chiesto come stai?

Lei ha risposto bene, poi ha spento il cellulare.

giovedì 20 aprile 2017

Omaha, Nebraska


- Diciamogli la verità. Se lo merita. Ci conosciamo da tempo, abbiamo combattuto insieme altrove. E' un ottimo soldato, è leale alla causa. Francamente, non vedo motivi per non farlo. 
- Così il giorno che lo cattureranno e lo interrogheranno con un telepate, chiuderò i giochi. 
- La stessa cosa succederebbe se prendessero me. Stesso dicasi per Inara.
- E se potessi cancellarlo anche dai vostri cervelli, dal tuo e quello di Inara, lo farei. 
- Idee alternative?  
- Potreste dargli l'OK per non fermarsi finché non sono morta, la prossima volta. Quello risolverebbe di sicuro il problema alla radice. 
- Non mi sembra che tu stia affrontando il problema in modo proattivo
- Perdonami anche tu: mi sentirò di sicuro più proattiva quando masticare smetterà di farmi male. 
- Devi per forza continuare a bere? 
- Non devo: voglio
- - - 
- Perfetto. Ho sentito dire che la scena politica di Omaha è molto promettente, ultimamente. 
 [...]
- Vedro' di parlargli io. Se non funzionerà, faremo in modo che tu sia al sicuro. Altrove.
- - -
- Ti sorprenderebbe scoprire quante poche persone si fidino di una mutaforma.
- - -

Cara Miramàr...

- - -


When I die let the wolves enjoy my bones,
When I die let me go,
When I die let the wolves enjoy my bones,
When I die let me go.

When I die you can push me out to sea,
When I die set me free,
When I die let the sharks come 'round to feed,
When I die set me free.

Oh, the world is dark,
And I've looked as far as I can see,
When the years have torn me apart,
Let me be.

When I die let the flames devour me,
When I die set me free,
When I die throw my ashes to the breeze,
When I die scatter me.

Oh, the world is dark,
And I've looked as far as I can see,
When the years have torn me apart,
Let me be.

Daylight is waiting for you.

Wolves, performed by Down Like Silver
Lyrics by Tirunesh Sherman,
Music by Jules Gold.

martedì 18 aprile 2017

Sweet Company


Quando Mel le apre la porta, la prima cosa che fa è schiantargli sulle labbra un bacio con cui quasi lo travolge, nonostante ogni angolo del volto le faccia male anche al minimo movimento. Lui, incredulo e appena svegliatosi da un sonno sereno, fatica a mettere le informazioni l'una dietro l'altra. Ha bisogno di un attimo, e se lo prende come prende il viso di lei tra le dita, tastandone i lividi e l'cchio nero con un'espressione di sconcerto sofferente. Il suo accento di Chicago si trascina su ogni sillaba.

- Che cazzo ti è successo?
- Ti faccio schifo? 
- Eh?
- Rispondimi.
- No, ma chi ti ha pestato?
- Non te lo voglio dire.
- Che cazzo.

Gli prende le mani e se le conduce sui fianchi, poi lo spinge superando la soglia a richiudendosi la porta alle spalle. Non ha trucchi, e quando si toglie la maglia e i pantaloni, scalciandoli via confusamente, non fa nulla per dissimulare né le costole esposte né il livido sulla pancia né la rosa di cicatrici passate. Una volta le hanno rotto tutte le ossa che aveva da rompersi, comprese quelle delle ali, e non ha mai potuto dirlo a nessuno. Le ali: quelle le estrae, le batte e le libera. Trascinano con loro lampade, oggetti. Finisce tutto per terra, tutto sottosopra.

- Fai parte di un fight club o qualcosa?
- Qualcosa.
- Mi dirai mai che ti è successo?

Due ore dopo, Mel le bacia le ferite (quelle vecchie e quelle nuove) con devozione religiosa. Per farlo deve partire dalle caviglie e poi risalire.

- Sì, quando avremo conquistato Hyperborea e potremo viverci dentro.

Per un momento, un momento soltanto e molto breve, non si sente gravemente sola. Nella sua testa non c'è la morte di Tish, non ci sono Marc né Victor Miller, non ci sono Routh, Benedict e tutti gli amici sulle cui spalle non può piangere quando finisce ridotta in quelle condizioni e le fa male anche respirare, non c'è Heldrich Frost quando le chiede di fidarsi di lui né la collera erosiva di Jude, Amy che ha annullato il matrimonio e ha provato a ricontattarla dopo che la notizia dei funerali è diventata pubblica, non c'è Jules che macera da solo nel suo lutto dopo quasi quindici anni che si conoscono... Non c'è nemmeno Inara, semplicemente non c'è.

Però c'è Mel, che è un uomo ostinato e semplice, è un mutante come lei, registrato suo malgrado come lei, ha visto tutto ma la notte dorme comunque sereno perché sa di aver fatto del proprio meglio, e questo gli basta. Quando le raggiunge le clavicole, esita ad andare più su: vede per la prima volta i lividi sul collo, il segno chiaro di cinque dita ruvide piantate su una gola di cigno.

- Io a chiederti non ti chiedo niente, solo questo: stai bene?
- No.
- Hai bisogno di aiuto.
- No.
- Pensi che starai bene?

Batte le palpebre un paio di volte, poggia le pupille su di lui. Soffia dalle labbra un sorriso morbido.

- No, sinceramente no.

Mel la guarda restare ferma sopra le lenzuola sfatte. Tira su col naso e scrolla la testa, poi le spalle.

- That's fine. Just checkin'. 

Non dice nient'altro, però l'ultimo bacio glielo lascia proprio tra spalla e viso.




mercoledì 12 aprile 2017

Rough Cut


"E' la storia più ridicola che hai mai sentito, di sicuro."

E' in attesa che qualcuno arrivi ad allinearle il braccio secondo l'ordine giusto che dovrebbero avere tutti quei pezzettini d'ossa, contro l'ordine reale che tutti quei pezzettini d'ossa hanno (devono chiamarsi frammenti). Ha la faccia e la voce di Zelda Cassidy, ma parla con l'intonazione di Mare Sherman.

"Stavo passeggiando per il parco e dei ragazzini mi hanno tirato una pallonata per sbaglio."

Un po' secca, un po' scarna. Col braccio buono si tasta il viso, là dove sta spuntando un livido. Poco male, almeno quello sarà capace di mascherarlo.

"Ero andata a portare a spasso Martie..."

Bel tentativo, no: il suo cane dov'è, ancora con Austin nella casa che condivide con Ross e la ragazzina mora? Com'è che si chiamava? Dovrebbe recuperare il proprio cane.

"Ero andata a fare due passi nel parco incastrato tra Old City e Southside, e c'era questo gruppo di ragazzini che giocava a palla avvelenata. Non che io mi fossi accorta di niente, eh: camminavo serenamente, e camminando serenamente ho camminato in mezzo alla partita in pieno svolgimento..."

Piega le labbra e mima un sorriso divertito, il livido sulla faccia le fa subito male. Ci sai fare, le ha detto Thomas, e lei non gli ha risposto che è la prima volta che spara davvero contro qualcuno (ad eccezione di quella volta, ma forse non vale). Non gli ha risposto nemmeno che ha sparato per ammazzarlo, perché le stava facendo esplodere il cervello e tutto sommato, in un angolo neanche troppo recondito di sé, ha pensato che la propria vita valesse ameno due misure in più di quella di Nux.

"E ho sentito un 'crack' così, secco, ci credi? Lo so che sono fragile, ma quel ragazzino con una pallonata mi ha fatto partire l'omero. Ma gli è preso un colpo più a lui che a me, poveraccio, infatti gli ho detto di stare tranquillo, che idiota. Comunque mi hanno detto che il gesso devo tenerlo per poco."

No, Mare Sherman non la metterebbe così, deve rendersi un po' più ironica, ma con leggerezza, in un modo che non apra troppa strada ad ulteriori approfondimenti. Quando i vetri sono partiti e Jason si è buttato su di lei, per proteggerla, ha avuto un attimo di sgomento e si è resa conto di aver operato fino a quel momento sull'assunto che, in caso di pericolo, i suoi compagni non l'avrebbero protetta. Invece Jason Dawson, che è tornato dal mondo dei distanti ricordandole di giorni lontani - i primi della sua permanenza nelle Fenici -, in cui la  Guyana era un'utopia e non una prigione schiavile per sapiens, in cui lei per prima era una persona diversa, sicura che alcune cose non le avrebbe mai fatte, di essere diversa dal branco di disadattati antisociali a cui si approcciava forse sperando, inconsciamente, di poterli usare.

Era una persona diversa. Per non essere riconosciuta le serviva una maschera e per riconoscersi le bastava togliersela. Se potesse raccontare a quella persona come sono andate le cose, poi, forse farebbe scelte molto differenti.

Forse.


domenica 9 aprile 2017

Head Space


Laguna Beach, California
Paradise Addiction Recovery Center

Marc non va a trovare Sally perché sente i morsi dei sensi di colpa (gli hanno chiesto di tornare sulla East Coast da diversi giorni, ormai), ma perché è sinceramente preoccupato della sua salute. Lo cerca lungo le spiagge chiuse del Resort riconvertito a centro di recupero per tossicodipendenti ricchi. Lui è lì, steso su un lettino da spiaggia, senza maglietta (ha sempre avuto un'atavica resistenza all'abbigliamento) e sotto un cielo denso di nuvole. 

- Non fa un po' freddo per prendere il sole? 

Sally ruota gli occhi all'indietro, non ha nemmeno gli occhiali da sole.

- Stavo pensando che dovrei prendere la villa sulle colline e ripiantare tutti quegli alberi che avevo quando le bambine erano piccole... e insegnare qualcosa anche a te. 
- Non ho esattamente il pollice verde.
- Ti divertirai, loro lo adoravano. Un uomo deve imparare a sporcarsi le mani, tu sei a Hollywood da un po' troppo, son. Anche io, ma io mi ricordo com'era prima. Com'ero io. Mi avresti dovuto conoscere. Ora sono... un'altra persona.
- Sei la stessa persona, solo più vecchio.
- Fuck off. 
- Hai chiamato Mare?
- Non vuole sentirmi, è arrabbiata. Tu l'hai sentita?
- E' arrabbiata anche con me.

Si mettono a ridere. Marc si siede sul bordo del lettino, mentre Sally rimane steso. Tinge ancora i capelli di giallo, ma la barba la lascia grigia. Ogni settimana fa il voto di radersi tutti i giorni, ma dopo quarantotto ore è già di nuovo in disordine. A Marc, invece, trentasette anni suonati, la barba cresce ancora rada e tenera. 

- A me non mi vorrà sentire mai più in tutta la sua vita. Non sono stupido -. annuncia Sally in coda alla risata, nell'ultimo paio di singhiozzi prima del silenzio.
- Quel che è fatto è fatto, Jake. Le passerà, alla fine in California ci torna sempre, e quando torna sei tu la prima persona che vuole vedere. 
- E ogni volta se ne rivà delusa, come se... come se non si trovasse mai davanti chi si aspetta.
- Vede le cose in potenza, non è colpa sua. La versione migliore di tutti, invece che quella reale. Lo fa da sempre, te lo ricordi?
- Mi ricordo quando aveva quindici anni e mi provava a convincere di fare l'ambasciatore dell'ONU...
- A volte le manca il contatto con la realtà. 

Sally guarda verso l'orizzonte. Lo sguardo gli si confonde.

- Starà bene?

Marc ci pensa qualche istante. Si strofina le nocche su uno zigomo.

- Non lo so. Penso di sì.

Sally ruota il capo verso di lui, guardandogli la linea delle spalle.

- E tu come stai?
- Io sto bene.

Marc risponde di getto, senza neanche pensarci. Un riflesso incondizionato. Si scioglie quando Sally, impensierito, gli poggia una mano sulla spalla e si solleva seduto, a fatica.

- Sei sicuro?

Questa volta non risponde. Ma gli occhi gli diventano d'acqua, e un paio di sussulti gli fanno ballare il petto. Sally gli conduce la testa contro la propria spalla e gli dà qualche pacca sulla schiena.

- That's alrite, son. Dopotutto, sei parte di questa famiglia anche tu.

Marc, trentasette anni suonati, si sente ancora il post-adolescente arrivato a L.A. senza un soldo in tasca, senza nessuno alle spalle ad aiutarlo. In fondo, Sally Sherman è la cosa più vicina a un padre che abbia mai avuto da vent'anni a questa parte. E Tirunesh Sherman, la cosa più vicina a una sorella.

- - -

Mutiny Building
Southside, Philadelphia

Guida lei fino alla fine - fa eccezione il breve tratto in macchina, quello in cui ha condotto lui con la naturalezza dei piloti da pista, da stunt. Il mentre addolcisce la solitudine e la sostituisce con del calore umano schietto, la soddisfazione finale allevia la noia, Ma la mattina dopo la sua vita non è più piena del solito. Ha sperato di trovare Marc sulla porta, di superarlo con un altro uomo attaccato alle costole, nel modo singolare e perspicuo che hanno loro di farsi del male: allineando i coltelli sul tavolo sotto la luce del sole. Ma lui è ancora in California, e forse sulla East Coast non ci tornerà mai - non per lei, comunque, non in quelle quattro mura -. 

A ben vedere, le sembrano problemi sciocchi. Si siede sul regalo che farà presto ad Emma e Benedict per il loro fidanzamento, e si chiede di fronte a quali problemi li ponga la loro quotidianità di recente. Se sono contenuti solo in loro stessi, alle loro attività, al Doubter e al redivivo Neverland, o se hanno qualcosa di più grande a cui fanno riferimento, e di cui lei non sa niente. 

Jody le torna in mente a lampi, d'improvviso, quando non vuole e non se l'aspetta. Cerca di estirparsela dalla testa, trovare alibi a se stessa e condanne per lei - alla fine non ha detto mai nulla di lei, di loro, di dove vive, di sua figlia non ha mai detto niente a nessuno, e in fondo lei ha avuto modo di tirarsene fuori se avesse voluto, e se l'è cercata, si dice, tutto sommato se l'è cercata. Comunque probabilmente non lo scoprirà mai. Tutto ciò che deve fare è assicurarsi che la ragazzina con le treccine non si faccia viva (la telepate), dopodiché non c'è niente che può andare storto: addirittura le donna mascherate con cui ha parlato non sanno niente di lei. Finché Benedict è al sicuro, lo sarà anche lei. 

Tutti gli altri, invece, spera non si sentano al sicuro mai più.



Her heaven would be a love
without
betrayal...

domenica 2 aprile 2017

Lady Luck




I can't sleep in the waiting room.

I can't find the keys that open those doors
That let me on the stairs
And onto the roof
Where there's actually air
And room to swing my fists
And my ears stop ringing
I can hear everything

I can't stand on only one leg.


Keys
di Tirunesh Sherman
Dalla raccolta "Hollow Bones". 

- - -

Fare cose, fare cose, fare cose.

L'importante è fare cose. L'intervista, la cosa nella North Town, la preoccupazione per Austin, cercare Austin, non trovare Austin, dov'è Austin? La macchina s'ingolfa, portala dal meccanico, la odi ormai, cambiala. Andare in una concessionaria, guardare macchine nuove migliori ma non tanto migliori da fartele rubare, scrivere, acquisire nuovi libri, chiamare la casa editrice, venire messa in attesa dalla casa editrice, iniziare a chiamare tutte le librerie dello stato per organizzare presentazioni del libro, ricevere silenzi imbarazzati, cambiare faccia, dare un pugno in faccia a Noah, cambiare faccia. Parlare con Inara, sentire quanto pesa un fucile di precisione, valutare di imparare a usare meglio un fucile di precisione, valutare di imparare meglio a usare più armi, valutare di non sentirsi più dire da quel pallone gonfiato che è inutile in combattimento, valutare di imparare a difendersi nel caso in cui Victor desse di nuovo di matto quando non c'è nessuno nei paraggi. Cambiare di nuovo faccia, tornare a casa, guidare la macchina per tornare a casa, la macchina si ingolfa, la macchina va ancora portata da un meccanico, portare la macchina da un meccanico, Routh ha detto così, non pensare a Routh, potrebbe dare la macchina ai ragazzi, non pensare ai ragazzi, dov'è Austin? Marc ha chiamato di nuovo, richiamare Marc, richiamare Marc almeno una volta, magari domani, stasera non ce la faccio, stasera mi rilasso.

Jody le ha detto che adotterà una bambina, suppone nel modo sgangherato e illegale con cui Jody potrebbe adottare chicchessia, un'umana. Che è una cazzata non gliel'ha detto, la preferisce tranquilla, e poi ha smesso di litigare con lei. Le bacia le nocche, ringrazia Dio che Pearl gliel'hanno tolta, è lontana, che non è nei paraggi per ciò che avverrà. Torna a casa.

 Sì, torna a casa. Conta la quantità giusta, il mix esatto di droghe e farmaci per provocarle trentacinque minuti di serenità e poi una morte controllata, temporanea (chiama così un sonno senza sogni, senza Tiru). Keller le ha chiesto un ricordo, un momento buono passato con sua sorella, lei ha schiuso le labbra per dirglielo e poi è rimasta muta, ha detto che avrebbe preferito sorpassare l'argomento.

Conta le gocce, conta i granelli. Avrebbe potuto dirgli di quella volta che Tish lesse Il gabbiano Jonathan Livingston per la prima volta, e passarono le settimane successive a fuggire di casa la notte, sull'oceano, e a provare a replicare le stesse acrobazie aeree di Jonathan. Avrebbe potuto raccontargli di quello che Tish stava pianificando di fare piuttosto che andare al college: di come passarono giornate e giornate intere a pianificare l'anno sabbatico tra le superiori e l'università durante il quale sarebbero andate a vivere in una sorta di comune hippie in Florida dove si diceva che tutti i superumani usassero liberamente e senza giudizi esterni i propri poteri. Avrebbe potuto raccontargli del suo matrimonio, di come l'ultima cosa che hanno fatto insieme sia stata volare, anche se con le reti, anche se con i lividi, avrebbe potuto dirgli che tutti i migliori ricordi che ha di sua sorella sono ricordi di quando poteva volare e si concedevano il volo, ma poi avrebbe dovuto anche dirgli che la morte rovina ogni buon ricordo, lo contamina, lo rende inutile, buio e doloroso.

Marc la chiama di nuovo quando è già quasi del tutto partita. Gli risponde distrattamente, senza riuscire a sentire neanche i propri pensieri, e non fa caso a lui che le dice di aver infilato Sally nell'ennesimo centro di recupero per tossicodipendenti, e che sua madre si sta riprendendo, e che Jules ha ripreso più o meno a mangiare, anche se sta ancora a pezzi, e che forse è il caso che torni per l'apertura del testamento ma se non vuole non deve, può essersi su skype, e che ci sono ancora alcune cose da sistemare ma che tra poco, forse, tornerà a New York per finire l'album, a meno che non ci siano cose che lei ha bisogno che faccia in California, cose di cui ha bisogno che lui si prenda cura.

Di me, gli risponde Mare piagnucolando, e non gli ha mai detto niente di simile. Ho bisogno che ti prendi cura di me, non lo farà nessun'altro, gli confessa con il cervello ribaltato dalla fantasiosa chimica degli stupefacenti, quando torni, quando puoi tornare? Mi rispondi, quando torni?

Mentre lei continua a chiederlo, dall'altra parte del continente Marcus si fa scivolare le mani con il cellulare in grembo, desolato, ferito dal dolore di una perdita che nessuno gli ha ancora lasciato il tempo di elaborare. Ripensa alla prima volta che ha visto Tish, alla bellezza morbida del suo sorriso antico, alla saggezza dei suoi movimenti lenti, a tutte le cose che si sono detti in tutti gli anni che si sono conosciuti, poi pensa che non la rivedrà mai più, che in tutto il resto della sua vita non rivedrà mai più Tirunesh Sherman. Non è mai stato bravo ad essere all'altezza delle situazioni. La sua consueta tattica è sempre consistita nello scomparire per un po' e poi farsi rivedere ad acque calmatesi, ad acque placide, a ciclo entropico terminato. Dall'altra parte della linea qualcosa al centro del cervello di Mare deve averlo capito, perché le suppliche diventano singhiozzi, e i singhiozzi ci mettono poco a prendere il suono di imprecazioni, e poi insulti, e poi urla confuse, e poi solo collera. Smettono quando lei schianta il cellulare contro il muro, e Marc in California è ancora lì, con gli occhi lucidi, il desiderio di fuga incastrato nelle tempie e un bivio sotto i piedi.



We're falling now, can't make it stop
Our arms are open for the thing we want
But what we want just can't have
What could've been but the timing's bad
Don't cry cry baby now
You're my my Lady Luck

We follow the signs to make us meet
Into the night, to places no-one sees
I never learned from looking back
You picked me up from off my back
But now it seems our time has passed

Don't cry cry baby now
You're my my Lady Luck
You picked me up right off my back
I'd fallen down you brought me up
We shared the night until the morning comes to take us
Back away to where, we chose to belong
But maybe we're wrong but we gotta be strong
There's too much to loose
And maybe we're fools, who knows
Who knows, who knows

We follow the signs to make us meet
Into the night, to places no-one sees.

mercoledì 29 marzo 2017

Difference Between


"La differenza", faceva una canzone di suo padre "è tra le persone che ti chiedono se possono fare qualcosa per te... 
e quelle che lo fanno e basta." 

- - -

It is a curious thing, the death of a loved one. We all know that our time in this world is limited, and that eventually all of us will end up underneath some sheet, never to wake up. And yet it is always a surprise when it happens to someone we know. It is like walking up the stairs to your bedroom in the dark, and thinking there is one more stair than there is. Your foot falls down, through the air, and there is a sickly moment of dark surprise as you try and readjust the way you thought of things.

- - -

«E se qualcuno pensa che sia un dannato crimine, well: vengano a prendermi. Quello che potevo perdere ormai l'ho perso, e non c'è più niente che possano farmi, adesso.»

- - -

«Smettila, ti fai male.»

- - -

«Devi sapere questo: che io vi ho voluto, e che io vi ho amato. E che mai nessun dolore e mai nessuna tragedia o malattia potrà mai togliermi la gioia di avervi conosciuto.»

- - -

«I never stopped caring... I'm pretty sure I never will.»

- - -

«I'm so so sorry, baby girl.»
«Don't say that. Don't ever say that again.»

- - -

Cara Miramàr...


- - -


Mama there's wolves in the house
Mama they won't let me out
Mama they're mating at night
Mama they won't make nice

They're pacing and glowing bright
Their faces all snowy and white
Bury their paws in the stone
Make for my heart as their home

They tumble and fight
And they're beautiful
On the hilltops at night
They are beautiful

Blazing with light
Is the whitest and the tallest and the biggest one
She's muscled and fine
When she runs

They're tearing up holes in the house
They're tearing their claws in the ground
They're staring with blood in their mouths
Mama they won't let me out

They tumble and fight
And they're beautiful
On the hilltops at night
They are beautiful

Blazing with light
Is the whitest and the tallest and the biggest one
All muscled and fine
When she runs

Mama there's wolves in the house
Mama I tried to put them out
And mama I know you're too wise
To wait till those wolves make nice

domenica 26 marzo 2017

Ashes! Ashes! (fifth and last)



Una donna bionda dal profilo texano, abiti alla moda, abbronzatura californiana. Tiene un microfono in mano come fosse una cronista (non lo è). Sta in piedi di fronte alla telecamera. Il paesaggio, alle sue spalle, è la villa di Rachel Carson, a Beverly Hills. La donna (trent'anni? Forse anche di meno) deve scacciare le altre troupe dalla sua inquadratura - ce ne saranno una decina raccolte attorno ai cancelli della villa -, poi mima un'espressione grave. Inizia a parlare quando il suo cameraman le rivolge un pollice alto e nella cuffia sente la voce dell'host dello scadente programma televisivo 

- Solo oggi è stata resa nota al pubblico la morte improvvisa di Tirunesh Sherman, nota alle cronache per essere una delle due figlie adottive della plurinominata agli Oscar Rachel Carson e di Sally Sherman, una delle rockstar più celebri della scena punk dei primi anni Ottanta. Secondo indiscrezioni non confermate, Tirunesh Sherman sarebbe morta nella notte di venerdì, poco prima dell'alba, a causa di un male incurabile e la famiglia avrebbe avuto un funerale privato nella mattina di sabato.

Si ferma. Ascolta nell'auricolare, in differita di pochi secondi, l'host del programma. 

- Sì, entrambe le gemelle Sherman sono state adottate quando erano ancora bambine, e hanno sviluppato entrambe il gene mutante. Mirabe Sherman, attualmente situata in Philadelphia, è pressoché fuggita da Los Angeles dopo la sua disastrosa corsa a sindaco della primavera del 2024, e ci risulta abbia da poco scritto un libro con una casa editrice locale su come separare gli umani dai mutanti. Tirunesh è stata meno presente sulla scena politica e sulla scena in generale, molti dicono a causa della sua deformazione permanente: un paio di ali che non era in grado di ritirare. Aveva comunque pubblicato una piccola raccolta di poesie di recente.

Si ferma di nuovo. Una folata di vento le disturba la capigliatura, ma a Los Angeles fa caldo.

- Le nostri fonti, non confermate, sostengono che sia Mirabe Sherman che suo padre, Sally Sherman, fossero a Los Angeles quando Tirunesh è morta, ma impegnati in una festa e non quindi al suo capezzale nella Clinica che la seguiva ormai da anni, dove sarebbero arrivati solo diverse ore dopo il decesso. Mirabe Sherman al momento sarebbe già ripartita per Philadelphia, mentre la famiglia è raccolta in cordoglio nella casa materna, a Beverly Hills e, oh...

Il gesto con cui indica la villa alle sue spalle la fa girare, facendole vedere un ultratrentenne con i capelli troppo lunghi per essere una persona seria, che apre il cancello e stringe la mano attorno a una mazza da baseball. 

- Possiamo vedere alle nostre spalle Titus Red, frontman dei Cons, la band-rivelazione dell'ultimo decennio. E' noto a tutti all'interno di Hollywood come Red sia ormai da tempo, oltre che impegnato tra alti e bassi con Mirabe Sherman, una sorta di figlioccio di Sally Sherman, che ne ha seguito e aiutato la carriera fin dai prim--

Si deve interrompere quando Marc inizia ad avanzare verso la troupe di Star Snooper brandendo la mazza da baseball come se fosse pronto a battere il fuoricampo della sua vita. 

- Ti ho detto che ti devi togliere dai coglioni, Alex!
- Questa non è proprietà privata, lo sai come funziona...
- Funziona che sto per aprirti quella cazzo di testa di merda che ti ritrovi.
- E' suolo pubb-- ehi ehi ehi!

Indietreggiano tutti quanti come un'onda quando la mazza si abbatte contro una delle videocamere piantate su un cavalletto. Un'attrezzatura da tremila dollari.

- Che è, Titus, la ragazza t'ha mollato di nuovo?
- La pianti? Non lo vedi che è matto?

Il secondo è il parabrezza di uno dei furgoncini, e se non si decidessero ad andare via il terzo potrebbe forse davvero essere il ginocchio di qualcuno. Marc lo rende chiaro puntando la mazza da baseball in avanti, come una spada.

- Siete dei fottuti sciacalli - dice senza mezzi termini - e se non vi togliete di dosso dagli Sherman lascio perdere la musica e passo il resto della mia vita a rovinare la vostra. Giuro su Dio.

- - -

Austin ha acconsentito a tenersi Martie per un po', questo dovrebbe darle almeno un po' di tempo. Si richiude la porta dell'appartamento alle proprie spalle, e si chiede per un attimo se non avrebbe fatto meglio a restare almeno qualche giorno, come sua madre l'ha supplicata di fare. Marc voleva seguirla, ma alla fine gli ha chiesto di restare indietro, assicurarsi di stare un po' con Jules e di infilare Sally nell'ennesima comunità di recupero.

Dal suo trolley formato bagaglio a mano prende una cosa soltanto, Hollow Bones. Rilegge la dedica ("a chi mi somiglia") e sfoglia le pagine fino a ritrovare una delle ultime poesie. Le è rimasta incastrata nella testa, e per mesi si è chiesta a chi Tiru stesse parlando. Tirami fuori, non puoi impedire che tutto questo succeda? Chiudi le porte e tienili fuori. Dissotterrami, non avresti potuto impedire che tutto questo succedesse? Dissotterrami da sotto la nostra casa. Forse pensava che l'avessero già sepolta, che si fossero tutti rassegnati alla sua assenza. Forse è caduta e si è rotta ogni cosa, forse è caduta perché qualcosa si è rotto. Forse è inciampata perché non ce la faceva più a camminare sul terreno, quando tutto del suo corpo era costruito per non toccare mai nulla di più concreto del vento.

Forse sarebbe dovuta rimanere in ospedale con lei. Chiudere gli occhi con lei, oppure soltanto chiuderle gli occhi e basta. Non avresti potuto impedire che tutto questo succedesse? Forse no, ma avrebbe potuto provare con un po' più di ostinazione.

- - -

Pull me out. 
Can't you stop this all from happening?
Close the doors and keep them out.

Dig me out,
Couldn't you have kept this all from happening?
Dig me out from under our house.

Tirunesh Sherman,
dalla raccolta "Hollow Bones". 


Ashes! Ashes! (4)


I'll check myself out when I put you to bed,
and tear that old band off my wrist.
But I'll come back to see you for a minute or less,
and leave you my ring in your fist.
Your hair will start growing, your face will become mine,
your femur will be breaking in half.
The sensation will be scissors and too much to scream,
so instead, please, love, just start to laugh.

"Shiva", di Tirunesh Sherman
Dalla raccolta di poesie "Hollow Bones".

- - -

Quando aveva ventitré anni, Jake "Sally" Sherman lo portò su una collina da cui si vedeva tutta Hollywood, parcheggiò la macchina, gli disse che se con sua figlia faceva sul serio era "ora di conoscersi", dopodiché procedette a fargli assumere così tante sostanze stupefacenti che, quando tornò a casa due giorni più tardi, Marcus giurò a se stesso che non avrebbe mai più preso roba chimica per tutto il resto della sua vita. Negli anni successivi violò il fioretto più volte, ma l'imprinting avuto con Sally funse sempre da freno inibitore, e - giusto un paio d'anni dopo - dover chiamare il 911 durante una sua overdose lo convinse una volta per tutte a non superare mai più un determinato limite.

Il ricordo gli gira in testa da almeno un quarto d'ora quando si rende conto del perché: la collina, magari Sally è su quella collina. Convince Mare a farlo guidare dopo averle promesso di non riportarla a tradimento in ospedale e, dopo una manciata di svolte sbagliate e inversioni a U, ritrova esattamente lo stesso posto, la collina con vista su Hollywood, e su quella collina la BMW decappottabile blu che Sally ha rubato a Monk. Marc vorrebbe scendere, assicurarsi che stia bene, ma lo fa più lentamente di Mare. Le lascia il compito di precederlo, di guardare attraverso i finestrini e assicurarsi che Sally respiri.

Quando lei apre lo sportello, deve farlo evitando che una bottiglia le rotoli sui piedi, e tossendo fuori l'odore di fumo alchemico che per tanti anni Marc ha associato all'arrivo di Sally. Lui se ne sta sul sedile del guidatore, da solo, con la testa riversa all'indietro e le pupille dilatate come ventose, la camicia aperta su un torace segnato dall'età e dall'incuria. Mare si mette in ginocchio sul sedile del passeggero, si sporge in avanti, stringe una mano attorno alla sua spalla. Lo chiama: Jake. Lo scuote: Jake, concentrati. Lui oscilla il capo verso di lei e la guarda con uno sguardo confuso, che tarda a riconoscerla. Quando finalmente indovina nei lineamenti di lei quelli di sua figlia, sorride e le accarezza una guancia.


- Hai visto che ti ho trovato, baby girl?

- Jake dobbiamo andare, Tish sta male, è in ospedale.
- Il tuo regalo. Mi ero dimenticato, pensavo ce l'avesse quel tuo amico, ma l'aveva vinta quel matto con i cani. 
- Riesci a camminare? Avanti, inizia ad alzare il busto.
- Non me la voleva restituire, ma io te l'ho rubata. 

Il cellulare inizia a squllarle in tasca. Lei non risponde, continua a scuotere Sally, a spingerlo, a cercargli dentro un po' di energia.

- Uno vi dà quello che ha. Io i piedi per terra mai avuti, ma vi ho dato tutti i soldi che avevo, e il bene, e la musica. Poi a un certo punto non basta.

Marc apre lo sportello del guidatore, gentilmente. China il busto e prova a mettere le braccia attorno a Sally, sollevarlo, ma lui lo spinge via a ceffoni confusi, stirando i muscoli delle gambe e tenendosi al volante.

- Papà ti prego, servi a Tish, ti vuole vedere.
- Sai quanto ci misi a scegliertela, la macchina? Feci il giro di tutti i venditori. E non lo chiesi a Little Rob, no: ci andai io, le guardai io, mi feci spiegare quale... quale era la migliore per una come te. Per una che studiava, che sarebbe andata al college e avrebbe... 
- Papà...

Intanto il cellulare smette di squillare, poi rinizia, poi smette di nuovo. E quando riprende, il suono è un altro: è quello di Marc. Lui guarda il mittente con il cuore che gli fa un tuffo: è Jules. Alza gli occhi su Mare ancora prima di rispondere. Non dice niente, ma Mare riesce a guardarlo a stento. Lei continua ad agitare Sally mentre lo sgomento le sale dal petto fino alla punta dei capelli. Le rende gli occhi lucidi, la voce più fragile. Un lamento che trascina addosso a suo padre, che negli ospedali non è arrivato mai in tempo, che non è arrivato in tempo alle recite scolastiche e ai compleanni, che ha fatto tardi alla sua cerimonia di laurea cum laude e che quando Tirunesh ha letto per la prima volta pubblicamente una sua poesia è arrivato strisciando quando le luci si erano già spente e i versi stavano finendo, che era in tour quando tirarono Tish giù dal cielo e non reperibile quando dovettero portare lei d'urgenza a un ospedale di San Diego perché non mangiava da settimane, quando dissero a sua madre che pesava trentacinque chili e quando dovette andare a registrarsi, a umiliarsi; che è sempre stato in ritardo e quando Marc risponde al cellulare, e viene da piangere anche a lui, Mare si rende improvvisamente conto che suo padre non è in ospedale perché aveva già capito tutto, perché ha sentito l'odore di disastro in anticipo su chiunque altro e perché ha reagito come ha sempre reagito ai disastri: distraendosi, confondendosi e anestetizzandosi. Che non c'era alla prima esibizione di Tish perché sapeva che le sue poesie parlavano del suo dolore, che non è andato a votare per lei alle elezioni perché sapeva che avrebbe perso, che ha evitato di vederla quando di lei erano rimaste solo le ossa perché Jake Sherman non sa gestire il dolore senza morirne e che, se all'ospedale per superumani non ci è andato è perché semplicemente, quasi banalmente, non voleva esserci.


Tirunesh Sherman, 2022
- - -


Suddenly every machine stopped at once,
and the monitors beeped the last time.
Hundreds of thousands of hospital beds,
and all of them empty but mine.

Well, I was lying down with my feet in the air,
completely unable to move.
The bed was misshapen, and awkward and tall,
and clearly intended for you.

You checked yourself out when you put me to bed,
and tore that old band off your wrist.
But you came back to see me for a minute or less,
and left me your ring in my fist.
My hair started growing, my face became yours,
my femur was breaking in half.
The sensation was scissors and too much to scream,
so instead, I just started to laugh.

Suddenly every machine stopped at once,
and the monitors beeped the last time.
Hundreds of thousands of hospital beds,
and all of them empty but mine.

sabato 25 marzo 2017

Ashes! Ashes! (3)



Driving in your car 
I never, never want to go home 
Because I havent got one anymore

Take me out tonight 
Because I want to see people 
And I want to see light

- - -

Tua sorella ha avuto una crisi, ora l'hanno stabilizzata. Per favore lascia perdere tuo padre e vieni qui.

- - -

Mare legge il messaggio ma poi si rimette il cellulare in tasca senza rispondere né invertire rotta. Ha insistito per guidare nonostante Marc volesse farlo per lei, e adesso lui se ne sta sul sedile del passeggero con la stessa inquietudine con cui si sta seduti su una graticola ardente.

- Gira a destra.
- Conosco una scorciatoia.

"Il monaco", Monk, ha una villa ai piedi di Beverly Hills, un branco di dobermann a proteggerla, e un'enorme struttura coperta che ospita almeno una cinquantina di macchine di ogni tipo. L'ultima volta che Mare ci è andata doveva avere non più di una quindicina d'anni, e mentre Monk mostrava a suo padre la collezione, lei aveva indugiato a bordo piscina per poter guardare la splendida mrs. Monk, una modella di origini nigeriane, prendere il sole in bikini su un lettino gonfiabile.

Non devono citofonare più di una volta prima che lui apra il cancello. La prius si immette nel vialetto, lo risale fino al portico dove Monk li sta aspettando a piedi nudi, con addosso una vestaglia aperta e un paio di mutande colorate. Ha i pugni sui fianchi e i capelli grigi raccolti in un codino. Il suo cane preferito è al suo fianco, gli altri inseguono la macchina da quando entra dal cancello fin quando non arrivano a destinazione. Monk rimane lì, in piedi, e Marc rialza il finestrino un secondo dopo averlo abbassato, giusto in tempo per evitare che uno dei cani gli morda via un dito. "Porca puttana."

Mare spinge il pugno chiuso contro il clacson finché Marc non si tappa le orecchie, i cani non guaiscono e Monk non si decide a scendere i tre gradini della veranda e raggiungerli. Bussa al finestrino del guidatore, Mare lo tira giù e lo guarda negli occhi.

- Cavalluccia, quanti anni che non ti vedo.
- Un sacco. Stiamo cercando Sally, è qui?
- No tesoro. Ma lo sai che ho letto il tuo libro? 

Marc bussa contro il finestrino e indica il parcheggio.

- Quella è la sua macchina.

Mare si sporge, la guarda, poi torna a guardare Monk.

- Digli di uscire adesso, è urgente.
- Che succede passerotto?
- Un'emergenza familiare.
- Oh, che peccato. - considera, respirandole in faccia odore di alcol e di erba. Si abbassa, allunga lo sguardo verso Marc e sorride - e tu che te ne vai in giro con una che con gli umani non ci vuole avere niente a che fare? Non è che il grande Titus Red nasconde un segretuccio genetico anche lui?

Marc impreca, in uno slancio di impazienza prova a uscire. Un cane gli si attacca alla caviglia e Monk ride di pancia mentre lui fa tutto il possibile per scalciarlo via, imprecando contro quelle "cazzodibestiedelcàzzo"

Qualcuno la definirebbe un'empasse. In tasca il cellulare trilla l'arrivo di un altro messaggio, mentre il tic tac di un conto alla rovescia Mare lo sente solo nella propria testa. Avvolge le mani attorno al volante, poi alza la voce e si preoccupa di essere ben udibile nel dire: "Marc, prendi la pistola che Rachel tiene sotto il cruscotto."

Marc sta rinunciando a un brandello dei suoi jeans quando si volta e la guarda stralunato.

- Eh?
- Eh? - gli fa eco Monk da fuori l'abitacolo.
- Inizio ad ammazzare questi cazzo di cani uno alla volta finché Sally non esce.
- Ma sei matta?
- Dai passamela.
- Stai scherzando.
- Sta scherzando - ripete Monk sorridendo.

Mare lascia il volante, spinge il busto di lato, lancia un braccio verso il cassetto sotto il cruscotto e prova ad aprirlo. Marc le schiaffeggia via il polso cercando di mettersi sulla sua strada mentre uno dei dobermann gli sfila inavvertitamente una scarpa (l'obiettivo forse era masticargli il piede), Monk indietreggia rapidamente e solleva entrambe le mani, urlando "oh, oh, oooooh!"

- Porta-fuori-Sally!
- Porco cazzo non è qui, d'accordo? E' venuto con la sua macchina e mi ha chiesto di vedere la collezione, quello stronzo si è fissato sulla macchina che gli avevo vinto a poker tipo dodici anni fa, mi ha chiesto le chiavi per fare un giro e ha preso e se ne è andato! Non lo so dove sta.
- Che macchina era?
- Una BMW del 2014 decappottabile, blu...
- Non ha detto dove andava?
- Non hai capito? Me l'ha rubata, è già tanto se non ho chiamato la polizia. Ma era fatto come un aquilone, è fortunato se non è finito contro qualche guardrail...

Mare toglie la mano dal cassetto del cruscotto. Sbatte la portiera del passeggero e Marc si rassegna a dire addio alla sua scarpa da duecento dollari. Fa un'inversione a U in cui rischia di investire Monk, dopodiché riparte a velocità troppo alta, ed è solo un miracolo che il cancello sia aperto quanto basta per farli passare piuttosto che schiantare.

- Torniamo in ospedale, pretty punk. Tua madre ha bisogno di te lì, e Jules anche. 
- Ho un altro paio di posti dove cercarlo.
- Dimmi quali e lo cerco io: ti porto in ospedale e io continuo a girare, ma tu stai con Tish.
- No.
- Smettila.
- Non rompermi il cazzo, Marcus. Ho detto di no. Trovo Jake, lo porto in ospedale da Tish. Se sapesse, vorrebbe esserci. E lei lo vorrebbe lì.  

Marc geme contrariato, ma non dice più niente. Apre il cassetto sotto il cruscotto e vede il profilo lucido e compatto di una minuscola semiautomatica da autodifesa. Vorrebbe accarezzarle una mano, ma non lo fa. Continua a occhieggiarle il profilo mentre lei guarda la strada. Sembra una metafora perfetta. 

- - -



Take me out tonight
Where there's music and there's people
Who are young and alive
Driving in your car
I never never want to go home
Because I haven't got one anymore

Take me out tonight
Because I want to see people
And I want to see life
Driving in your car
Oh please don't drop me home
Because it's not my home, it's their home
And I'm welcome no more

And if a double-decker bus
Crashes in to us
To die by your side
Is such a heavenly way to die
And if a ten ton truck
Kills the both of us
To die by your side
Well the pleasure, the privilege is mine

Take me out tonight
Take me anywhere, I don't care
I don't care, I don't care
And in the darkened underpass
I thought Oh God, my chance has come at last
But then a strange fear gripped me
And I just couldn't ask

Oh, there is a light and it never goes out
There is a light and it never goes out

venerdì 24 marzo 2017

Ashes! Ashes! (2)

Los Angeles

Riescono ad arrivare quando non ha ancora fatto alba, fuori ci sono dodici gradi ma nella struttura ospedaliera se ne sentono almeno ventidue (Marcus prometterebbe che ce ne siano almeno trenta). Possono vedere Tish da dietro un vetro, ma quando Marc le prende la mano per portarla dentro,lei tentenna. Lo guarda con occhi enormi e confusi, e aspetta che sia invece sua madre a uscire fuori. Jules invece rimane a dormire sulla poltrona, tenendole un solo dito sotto il palmo inerte.

- Pensano che sia caduta proprio a causa di una frattura della caviglia, ma il colpo ha fatto il resto... mi sono scritta tutto, sto chiamando medici esterni perché non mi fido, e...
- La seguono qui da quando aveva vent'anni.
- Ciò non significa che...
- Ma che ti hanno detto?
- Che è come se si fosse schiantata contro un muro all'interno di una macchina lanciata in velocità. Ha un polmone perforato dalle costole... ti rendi conto? Per una stupida caduta...
- Dov'è Jake?
- Non lo so, Mirabe.
- Non hai chiamato papà?
- L'ho chiamato, non risponde.
- Bea che dice? Hai chiamato Bea?
- E' sempre la solita storia... non c'è mai, quando serve. Non c'è mai.
- Mamma, hai chiamato la compagna o no?
- No.

Mare si trascina le dita tra i capelli con uno sconcerto incredulo che Marc raccoglie bene poggiandole una mano al centro della schiena e conducendola via. Prendono ognuno il proprio cellulare all'unisono, ma è Mare la prima a chiamare. Deve far squillare il telefono almeno per cinque minuti prima che Bea risponda, in sottofondo il pianto di un bambino molto piccolo.

- Bea, sono Mirabe. Sally è lì?
- Eh?
- Mi puoi passare mio padre, per favore?
- Mirabe?
- Sì, sono io.
- Oh, scusa, no... no, Sally non è ancora tornato, scusa.
- Sai dove andava?
- All'Hendrix Club, ma ormai sarà già chiuso...
- Sai con chi stava?
- I suoi amici...
- Ne ha molti.
- Ma va tutto bene?
- No. Quali amici te lo ricordi?
- No... ma è passato a prenderlo quello col garage enorme... come si chiama.
- Quello con tutte le macchine, intendi?
- Sì, lui.

Le riattacca in faccia involontariamente: di dirle ciao se ne è dimenticata. Quando alza lo sguardo, Tish oltre il vetro è attaccata a un respiratore. Marc le sfiora una spalla.

- Sta con il monaco? Vado a prenderlo io.
- Vengo pure io.
- Tu resta qui con Tish e con tua madre... e con Jules, okay?
- No. - Mare scuote il capo con energia, mentre si sente sotto le piante dei piedi il prurito del tempo che stringe, un'ansia istintuale prima di tutto - lo porto qui, dovrebbe stare qui. Vengo con te.

Marc vorrebbe farle cambiare idea, ma mentre cerca le parole lei si è già fatta dare le chiavi della macchina di Rachel e sta ripetendo a bassa voce quanto le ha detto lei: settore giallo, zona E, la Prius gialla che si è regalata come premio di consolazione dopo essersi fatta soffiare l'Oscar.



giovedì 23 marzo 2017

Ashes! Ashes! (1)


Torna a casa tardi, col bisogno di togliersi di dosso l'odore dell'insuccesso. Non sveglia Marc che sta dormendo sul divano insieme a Martie, e si dimentica anche di mettere sotto carica il cellulare spento.

Quando esce dalla doccia, Marc si è svegliato e tiene in mano il proprio iPhone.

- Dov'eri?
- Con degli amici. Che succede?
- Tish.

Lui ha ancora gli occhi impastati dal sonno, le parole gli incespicano in bocca anche prima di superare i denti.

- E' caduta... lungo delle scale, è caduta.

Mare sbatte le palpebre. Ciò che per chiunque altro liquiderebbe con uno schiocco di dita, assume proporzioni catastrofiche quando si parla di ossa tanto fragili.

- E'...? 
- In ospedale. Mi ha chiamato Jules, tua madre è già lì.
- Sally?
- Lo stanno cercando.

Si trascina una mano tra i ricci bagnati. Marc fa lo stesso, pettinandoglieli indietro.

- Fai una valigia, ok? 
- Ok...
- Io raccolgo un paio di favori e chiamo un Uber.
- Ok...
- Ci sei?

Mare alza gli occhi stralunati sul viso di lui.

- Non lo so.
- Devi esserci. 
- Ok.
- Andrà tutto bene. Torniamo a casa per un paio di giorni, giusto per vedere che sta bene. Ok?
- Ok.
- Ora fai la valigia.

Mare annuisce. Fa un passo indietro, poi si ricorda di qualcosa. Ne fa uno speculare in avanti, bacia Marc mentre le tremano i polsi di paura, poi lo lascia. Nella valigia si scorda di metterci tutte le cose fondamentali, ma ci infila dentro la propria copia di Hollow Bones.


* * *

Ring-a-round the rosie,
A pocket full of posies,
Ashes! Ashes!
We all fall down.



martedì 21 marzo 2017

Ten Decisions


Margaret Bauman è la prima sconosciuta che non inizia una conversazione sul suo libro esordendo con "mi dispiace molto per sua sorella". Pensa a questo mentre esce dal Macy's Center, la grande libreria al suo interno che ha rifiutato di prestare i suoi spazi a una presentazione di Hyperboreans appena svuotatasi dopo la presentazione dell'ennesimo libro moderato su come umani e superumani risolveranno tutti i loro problemi imparando a convivere. E' quello che dicono tutti - quello che dice il governo, la YGS, quello che dicono i media e tutti coloro che hanno una voce e un megafono abbastanza potente da farla sentire -. Dicono questo, ma non offrono progetti. Non offrono nulla che non sia la pacifica, implicita accettazione che per convivere siano i superumani a dover fare ogni singolo sacrificio. Il sottotesto, pensa Mare Sherman, è che siamo fortunati che ci consentano di vivere.

Mentre cerca la sua macchina in un enorme parcheggio sotterraneo pensa a Zygmunt Bauman e alla sua modernità liquida, chiedendosi cosa avrebbe pensato degli Stati Uniti del 2025, della frammentarietà della comunità mutante, di tutti i suoi suoni cacofonici e discordanti, delle stonature tra fratelli e sorelle che la tengono sveglia la notte. Chi rappresenta i superumani in modo riconoscibile? Il problema posto da Margaret le rimbomba nella testa con una tale energia che la mente la inganna, le fa sentire rumori che non ci sono, passi che cerca con gli occhi e non trova. Il cuore le batte nel petto come un tamburo, ma quello che ha attorno è solo un parcheggio sotterraneo. Deve rilassarsi: è solo un parcheggio sotterraneo, e nessuno vuole farle del male.

Nel mondo che voglio io, tu sei salvo. Si è lasciata alle spalle la rabbia, ma l'ostinazione con cui prova a convincere Benedict le fora ancora il cervello da parte a parte, e lei non può farci niente. Non può non pensare che lui ed Emma siano due liberali moderati assolutamente perfetti l'uno per l'altro, e allo stesso tempo non può fare a meno di credere che da qualche parte, nascosto dietro la vecchiaia che gli sembra essere scesa addosso negli ultimi mesi, Benedict Birkenhead sia ancora il rivoluzionario anarchico che le aveva fatto credere di essere una vita prima. Di avere, dentro di sé, la forza di un uomo disposto a vivere con l'incubo di un mondo che viene demolito con null'altro che la promessa che su quelle macerie verrà costruito qualcosa di migliore. Nel mondo che voglio io, lo sei anche tu. Mentre entra in macchina e accende il motore, una consapevolezza improvvisa la fa ridere: stanno morendo entrambi, stanno morendo più rapidamente di tutti gli altri, ed è altamente improbabile che nessuno dei due veda il mondo che vogliono. O che si salvino, per quello che vale.

Jody gliel'ha detto: che vede nelle persone quello che potrebbero essere piuttosto che ciò che sono veramente. Vive e ama in potenza: quando apre gli occhi su Jody, tutto ciò che è a lungo riuscita a vedere è la sua forza di volontà ferrea, il suo senso di lealtà, il coraggio e la sua natura. Ha visto la madre affezionata e la telecineta che potrebbe rendere la Casa Bianca un cumulo di macerie il giorno della rivoluzione. Ha scelto di ignorare il dolore lancinante del sentirsi tradita, del sentirsi messa sotto scacco dalle circostanze, dalle minacce di Raul Vazquez, dalla decisione di non esporsi tanto da far intervenire la Fenice a sua protezione. E se anche quella pazienza a cui è costretta si sta sciogliendo come cerca sotto il fuoco, quando snocciola la lista di abusi subiti il suo è l'unico nome che non riesce a pronunciare.

Si ritrova sulla porta di casa senza neanche ricordarsi come ci è arrivata. Gira le chiavi e scivola all'interno, sentendosi all'improvviso esausta. Marc è seduto sul bordo del divano e guarda un notiziario, e lei gli sorride senza guardare nemmeno lo schermo.

- Ma hai sentito? Un palazzo intero nella Old City... crollato dal nulla, e la polizia...
- Spegni la tv, dai.
- Com'è stata la presentazione?
- Come tutte le altre.

Si toglie di dosso la giacca e le scarpe, poggia una carezza tra le orecchie di Martie e si lascia cadere accanto a Marcus, sotto il suo  braccio. Lui le passa distrattamente una mano tra i capelli tenendo gli occhi sul televisore, lei gli disegna una traccia di baci tiepidi sul collo.

- Sono morte delle persone.
- Andiamo da qualche parte domani?
- Domani registro con i ragazzi.
- Pensavo stessi ancora lavorando ai testi.
- Lo sto facendo.
- Ti serve aiuto?

Marcus soffia tra le labbra una risata netta, schietta e avvelenata.

- Stai scherzando.
- No, ma non fa niente. Almeno puoi suonarmi il pezzo a cui stavamo lavorando insieme a New York, mesi fa? I'll try anything once?
- Alla fine lo abbiamo scartato. Era troppo lento, l'abbiamo ribaltato. Ora si chiama You only live once.
- Me lo fai sentire?
- Quale?
- Il primo. Il nostro. Finiamolo.
- Non lo registreremo.
- Non importa. 

Marc le getta addosso un'occhiata piena di diffidenza. Lei può sentirne i muscoli irrigidirsi. Sospira e si tira indietro, lasciandogli una carezza su un braccio.

- E' l'unica canzone...

Sospira. Prosegue a fatica, mentre Marc la guarda con la coda dell'occhio, come un animale ferito.

- E' l'unica canzone che non parla di qualcosa di sbagliato che abbiamo fatto. Esplicitamente, o implicitamente. Non parla di tradimenti, di rabbia, di delusione, di desolazione o di come ci siamo fatti male. E' l'unica canzone che dice soltanto: avevamo molte scelte, e ne abbiamo fatte alcune. Abbiamo fatto quello che hanno fatto tutti gli altri, e non siamo speciali per questo. 

Marc ride piano e scuote il capo. Spinge i gomiti sulle ginocchia e affonda il volto tra le mani. Vi strofina sopra i palmi come se volesse fargli prendere fuoco.

- Per me - geme dopo un po' - per me è un pezzo su come tutti quanti moriremo. E su come tu sei... - si interrompe - eri - riprende - l'unico sollievo che riuscivo a trovare. L'idea che un giorno avremmo trovato una strada per rincontrarci. E stare insieme.

Ruota il capo verso di lei, sporto in avanti. Sorride di amarezza. Rimangono a guardarsi in un silenzio di cocci e vetri finché uno non si stanca e va al letto per primo, chiedendosi quanto tempo ci metterà l'altro a raggiungerlo.



Ten decisions shape your life,
You'll be aware of 5 about
7 ways to go through school,
Either you're noticed or left out
7 ways to get ahead,
7 reasons to drop out
When I said, "I can see me in your eyes",
You said, "I can see you in my path"
That's not just friendship that's romance too,
You like music we can dance to

Sit me down,
Shut me up,
I'll calm down,
And i'll get along with you

There is a time when we all fail,
Some people take it pretty well
Some take it all out on themselves,
Some they just take it out on friends
Oh everybody plays the game,
And if you don't you're called insane

Don't don't don't don't - it's not safe no more,
I've got to see you one more time
Son you were born,
In 1984

Sit me down,
Shut me up,
I'll calm down,
And i'll get along with you,

Everybody was well dressed,
And everybody was a mess
6 things without fail you must do,
So that your woman loves just you
Oh all the girls played mental games,
And all the guys were dressed the same

Why not try it all,
If you only remember it once?
Oooh, ooooooh

Sit me down,
Shut me up,
I'll calm down,
And I'll get along with you