giovedì 27 aprile 2017

Routh's Place


Ne emerge di tanto in tanto, poi riaffonda. Routh sta facendo esattamente ciò che lei le ha chiesto di fare, ma ogni volta che le mette un piatto davanti si sente aggredita, e la odia con una furia cieca che dura solo finché non ha svuotato il piatto. A volte ci mette ore.

Marc le ha scritto, ha chiesto come stai?

Lei ha risposto bene, poi ha spento il cellulare.

giovedì 20 aprile 2017

Omaha, Nebraska


- Diciamogli la verità. Se lo merita. Ci conosciamo da tempo, abbiamo combattuto insieme altrove. E' un ottimo soldato, è leale alla causa. Francamente, non vedo motivi per non farlo. 
- Così il giorno che lo cattureranno e lo interrogheranno con un telepate, chiuderò i giochi. 
- La stessa cosa succederebbe se prendessero me. Stesso dicasi per Inara.
- E se potessi cancellarlo anche dai vostri cervelli, dal tuo e quello di Inara, lo farei. 
- Idee alternative?  
- Potreste dargli l'OK per non fermarsi finché non sono morta, la prossima volta. Quello risolverebbe di sicuro il problema alla radice. 
- Non mi sembra che tu stia affrontando il problema in modo proattivo
- Perdonami anche tu: mi sentirò di sicuro più proattiva quando masticare smetterà di farmi male. 
- Devi per forza continuare a bere? 
- Non devo: voglio
- - - 
- Perfetto. Ho sentito dire che la scena politica di Omaha è molto promettente, ultimamente. 
 [...]
- Vedro' di parlargli io. Se non funzionerà, faremo in modo che tu sia al sicuro. Altrove.
- - -
- Ti sorprenderebbe scoprire quante poche persone si fidino di una mutaforma.
- - -

Cara Miramàr...

- - -


When I die let the wolves enjoy my bones,
When I die let me go,
When I die let the wolves enjoy my bones,
When I die let me go.

When I die you can push me out to sea,
When I die set me free,
When I die let the sharks come 'round to feed,
When I die set me free.

Oh, the world is dark,
And I've looked as far as I can see,
When the years have torn me apart,
Let me be.

When I die let the flames devour me,
When I die set me free,
When I die throw my ashes to the breeze,
When I die scatter me.

Oh, the world is dark,
And I've looked as far as I can see,
When the years have torn me apart,
Let me be.

Daylight is waiting for you.

Wolves, performed by Down Like Silver
Lyrics by Tirunesh Sherman,
Music by Jules Gold.

martedì 18 aprile 2017

Sweet Company


Quando Mel le apre la porta, la prima cosa che fa è schiantargli sulle labbra un bacio con cui quasi lo travolge, nonostante ogni angolo del volto le faccia male anche al minimo movimento. Lui, incredulo e appena svegliatosi da un sonno sereno, fatica a mettere le informazioni l'una dietro l'altra. Ha bisogno di un attimo, e se lo prende come prende il viso di lei tra le dita, tastandone i lividi e l'cchio nero con un'espressione di sconcerto sofferente. Il suo accento di Chicago si trascina su ogni sillaba.

- Che cazzo ti è successo?
- Ti faccio schifo? 
- Eh?
- Rispondimi.
- No, ma chi ti ha pestato?
- Non te lo voglio dire.
- Che cazzo.

Gli prende le mani e se le conduce sui fianchi, poi lo spinge superando la soglia a richiudendosi la porta alle spalle. Non ha trucchi, e quando si toglie la maglia e i pantaloni, scalciandoli via confusamente, non fa nulla per dissimulare né le costole esposte né il livido sulla pancia né la rosa di cicatrici passate. Una volta le hanno rotto tutte le ossa che aveva da rompersi, comprese quelle delle ali, e non ha mai potuto dirlo a nessuno. Le ali: quelle le estrae, le batte e le libera. Trascinano con loro lampade, oggetti. Finisce tutto per terra, tutto sottosopra.

- Fai parte di un fight club o qualcosa?
- Qualcosa.
- Mi dirai mai che ti è successo?

Due ore dopo, Mel le bacia le ferite (quelle vecchie e quelle nuove) con devozione religiosa. Per farlo deve partire dalle caviglie e poi risalire.

- Sì, quando avremo conquistato Hyperborea e potremo viverci dentro.

Per un momento, un momento soltanto e molto breve, non si sente gravemente sola. Nella sua testa non c'è la morte di Tish, non ci sono Marc né Victor Miller, non ci sono Routh, Benedict e tutti gli amici sulle cui spalle non può piangere quando finisce ridotta in quelle condizioni e le fa male anche respirare, non c'è Heldrich Frost quando le chiede di fidarsi di lui né la collera erosiva di Jude, Amy che ha annullato il matrimonio e ha provato a ricontattarla dopo che la notizia dei funerali è diventata pubblica, non c'è Jules che macera da solo nel suo lutto dopo quasi quindici anni che si conoscono... Non c'è nemmeno Inara, semplicemente non c'è.

Però c'è Mel, che è un uomo ostinato e semplice, è un mutante come lei, registrato suo malgrado come lei, ha visto tutto ma la notte dorme comunque sereno perché sa di aver fatto del proprio meglio, e questo gli basta. Quando le raggiunge le clavicole, esita ad andare più su: vede per la prima volta i lividi sul collo, il segno chiaro di cinque dita ruvide piantate su una gola di cigno.

- Io a chiederti non ti chiedo niente, solo questo: stai bene?
- No.
- Hai bisogno di aiuto.
- No.
- Pensi che starai bene?

Batte le palpebre un paio di volte, poggia le pupille su di lui. Soffia dalle labbra un sorriso morbido.

- No, sinceramente no.

Mel la guarda restare ferma sopra le lenzuola sfatte. Tira su col naso e scrolla la testa, poi le spalle.

- That's fine. Just checkin'. 

Non dice nient'altro, però l'ultimo bacio glielo lascia proprio tra spalla e viso.




mercoledì 12 aprile 2017

Rough Cut


"E' la storia più ridicola che hai mai sentito, di sicuro."

E' in attesa che qualcuno arrivi ad allinearle il braccio secondo l'ordine giusto che dovrebbero avere tutti quei pezzettini d'ossa, contro l'ordine reale che tutti quei pezzettini d'ossa hanno (devono chiamarsi frammenti). Ha la faccia e la voce di Zelda Cassidy, ma parla con l'intonazione di Mare Sherman.

"Stavo passeggiando per il parco e dei ragazzini mi hanno tirato una pallonata per sbaglio."

Un po' secca, un po' scarna. Col braccio buono si tasta il viso, là dove sta spuntando un livido. Poco male, almeno quello sarà capace di mascherarlo.

"Ero andata a portare a spasso Martie..."

Bel tentativo, no: il suo cane dov'è, ancora con Austin nella casa che condivide con Ross e la ragazzina mora? Com'è che si chiamava? Dovrebbe recuperare il proprio cane.

"Ero andata a fare due passi nel parco incastrato tra Old City e Southside, e c'era questo gruppo di ragazzini che giocava a palla avvelenata. Non che io mi fossi accorta di niente, eh: camminavo serenamente, e camminando serenamente ho camminato in mezzo alla partita in pieno svolgimento..."

Piega le labbra e mima un sorriso divertito, il livido sulla faccia le fa subito male. Ci sai fare, le ha detto Thomas, e lei non gli ha risposto che è la prima volta che spara davvero contro qualcuno (ad eccezione di quella volta, ma forse non vale). Non gli ha risposto nemmeno che ha sparato per ammazzarlo, perché le stava facendo esplodere il cervello e tutto sommato, in un angolo neanche troppo recondito di sé, ha pensato che la propria vita valesse ameno due misure in più di quella di Nux.

"E ho sentito un 'crack' così, secco, ci credi? Lo so che sono fragile, ma quel ragazzino con una pallonata mi ha fatto partire l'omero. Ma gli è preso un colpo più a lui che a me, poveraccio, infatti gli ho detto di stare tranquillo, che idiota. Comunque mi hanno detto che il gesso devo tenerlo per poco."

No, Mare Sherman non la metterebbe così, deve rendersi un po' più ironica, ma con leggerezza, in un modo che non apra troppa strada ad ulteriori approfondimenti. Quando i vetri sono partiti e Jason si è buttato su di lei, per proteggerla, ha avuto un attimo di sgomento e si è resa conto di aver operato fino a quel momento sull'assunto che, in caso di pericolo, i suoi compagni non l'avrebbero protetta. Invece Jason Dawson, che è tornato dal mondo dei distanti ricordandole di giorni lontani - i primi della sua permanenza nelle Fenici -, in cui la  Guyana era un'utopia e non una prigione schiavile per sapiens, in cui lei per prima era una persona diversa, sicura che alcune cose non le avrebbe mai fatte, di essere diversa dal branco di disadattati antisociali a cui si approcciava forse sperando, inconsciamente, di poterli usare.

Era una persona diversa. Per non essere riconosciuta le serviva una maschera e per riconoscersi le bastava togliersela. Se potesse raccontare a quella persona come sono andate le cose, poi, forse farebbe scelte molto differenti.

Forse.


domenica 9 aprile 2017

Head Space


Laguna Beach, California
Paradise Addiction Recovery Center

Marc non va a trovare Sally perché sente i morsi dei sensi di colpa (gli hanno chiesto di tornare sulla East Coast da diversi giorni, ormai), ma perché è sinceramente preoccupato della sua salute. Lo cerca lungo le spiagge chiuse del Resort riconvertito a centro di recupero per tossicodipendenti ricchi. Lui è lì, steso su un lettino da spiaggia, senza maglietta (ha sempre avuto un'atavica resistenza all'abbigliamento) e sotto un cielo denso di nuvole. 

- Non fa un po' freddo per prendere il sole? 

Sally ruota gli occhi all'indietro, non ha nemmeno gli occhiali da sole.

- Stavo pensando che dovrei prendere la villa sulle colline e ripiantare tutti quegli alberi che avevo quando le bambine erano piccole... e insegnare qualcosa anche a te. 
- Non ho esattamente il pollice verde.
- Ti divertirai, loro lo adoravano. Un uomo deve imparare a sporcarsi le mani, tu sei a Hollywood da un po' troppo, son. Anche io, ma io mi ricordo com'era prima. Com'ero io. Mi avresti dovuto conoscere. Ora sono... un'altra persona.
- Sei la stessa persona, solo più vecchio.
- Fuck off. 
- Hai chiamato Mare?
- Non vuole sentirmi, è arrabbiata. Tu l'hai sentita?
- E' arrabbiata anche con me.

Si mettono a ridere. Marc si siede sul bordo del lettino, mentre Sally rimane steso. Tinge ancora i capelli di giallo, ma la barba la lascia grigia. Ogni settimana fa il voto di radersi tutti i giorni, ma dopo quarantotto ore è già di nuovo in disordine. A Marc, invece, trentasette anni suonati, la barba cresce ancora rada e tenera. 

- A me non mi vorrà sentire mai più in tutta la sua vita. Non sono stupido -. annuncia Sally in coda alla risata, nell'ultimo paio di singhiozzi prima del silenzio.
- Quel che è fatto è fatto, Jake. Le passerà, alla fine in California ci torna sempre, e quando torna sei tu la prima persona che vuole vedere. 
- E ogni volta se ne rivà delusa, come se... come se non si trovasse mai davanti chi si aspetta.
- Vede le cose in potenza, non è colpa sua. La versione migliore di tutti, invece che quella reale. Lo fa da sempre, te lo ricordi?
- Mi ricordo quando aveva quindici anni e mi provava a convincere di fare l'ambasciatore dell'ONU...
- A volte le manca il contatto con la realtà. 

Sally guarda verso l'orizzonte. Lo sguardo gli si confonde.

- Starà bene?

Marc ci pensa qualche istante. Si strofina le nocche su uno zigomo.

- Non lo so. Penso di sì.

Sally ruota il capo verso di lui, guardandogli la linea delle spalle.

- E tu come stai?
- Io sto bene.

Marc risponde di getto, senza neanche pensarci. Un riflesso incondizionato. Si scioglie quando Sally, impensierito, gli poggia una mano sulla spalla e si solleva seduto, a fatica.

- Sei sicuro?

Questa volta non risponde. Ma gli occhi gli diventano d'acqua, e un paio di sussulti gli fanno ballare il petto. Sally gli conduce la testa contro la propria spalla e gli dà qualche pacca sulla schiena.

- That's alrite, son. Dopotutto, sei parte di questa famiglia anche tu.

Marc, trentasette anni suonati, si sente ancora il post-adolescente arrivato a L.A. senza un soldo in tasca, senza nessuno alle spalle ad aiutarlo. In fondo, Sally Sherman è la cosa più vicina a un padre che abbia mai avuto da vent'anni a questa parte. E Tirunesh Sherman, la cosa più vicina a una sorella.

- - -

Mutiny Building
Southside, Philadelphia

Guida lei fino alla fine - fa eccezione il breve tratto in macchina, quello in cui ha condotto lui con la naturalezza dei piloti da pista, da stunt. Il mentre addolcisce la solitudine e la sostituisce con del calore umano schietto, la soddisfazione finale allevia la noia, Ma la mattina dopo la sua vita non è più piena del solito. Ha sperato di trovare Marc sulla porta, di superarlo con un altro uomo attaccato alle costole, nel modo singolare e perspicuo che hanno loro di farsi del male: allineando i coltelli sul tavolo sotto la luce del sole. Ma lui è ancora in California, e forse sulla East Coast non ci tornerà mai - non per lei, comunque, non in quelle quattro mura -. 

A ben vedere, le sembrano problemi sciocchi. Si siede sul regalo che farà presto ad Emma e Benedict per il loro fidanzamento, e si chiede di fronte a quali problemi li ponga la loro quotidianità di recente. Se sono contenuti solo in loro stessi, alle loro attività, al Doubter e al redivivo Neverland, o se hanno qualcosa di più grande a cui fanno riferimento, e di cui lei non sa niente. 

Jody le torna in mente a lampi, d'improvviso, quando non vuole e non se l'aspetta. Cerca di estirparsela dalla testa, trovare alibi a se stessa e condanne per lei - alla fine non ha detto mai nulla di lei, di loro, di dove vive, di sua figlia non ha mai detto niente a nessuno, e in fondo lei ha avuto modo di tirarsene fuori se avesse voluto, e se l'è cercata, si dice, tutto sommato se l'è cercata. Comunque probabilmente non lo scoprirà mai. Tutto ciò che deve fare è assicurarsi che la ragazzina con le treccine non si faccia viva (la telepate), dopodiché non c'è niente che può andare storto: addirittura le donna mascherate con cui ha parlato non sanno niente di lei. Finché Benedict è al sicuro, lo sarà anche lei. 

Tutti gli altri, invece, spera non si sentano al sicuro mai più.



Her heaven would be a love
without
betrayal...

domenica 2 aprile 2017

Lady Luck




I can't sleep in the waiting room.

I can't find the keys that open those doors
That let me on the stairs
And onto the roof
Where there's actually air
And room to swing my fists
And my ears stop ringing
I can hear everything

I can't stand on only one leg.


Keys
di Tirunesh Sherman
Dalla raccolta "Hollow Bones". 

- - -

Fare cose, fare cose, fare cose.

L'importante è fare cose. L'intervista, la cosa nella North Town, la preoccupazione per Austin, cercare Austin, non trovare Austin, dov'è Austin? La macchina s'ingolfa, portala dal meccanico, la odi ormai, cambiala. Andare in una concessionaria, guardare macchine nuove migliori ma non tanto migliori da fartele rubare, scrivere, acquisire nuovi libri, chiamare la casa editrice, venire messa in attesa dalla casa editrice, iniziare a chiamare tutte le librerie dello stato per organizzare presentazioni del libro, ricevere silenzi imbarazzati, cambiare faccia, dare un pugno in faccia a Noah, cambiare faccia. Parlare con Inara, sentire quanto pesa un fucile di precisione, valutare di imparare a usare meglio un fucile di precisione, valutare di imparare meglio a usare più armi, valutare di non sentirsi più dire da quel pallone gonfiato che è inutile in combattimento, valutare di imparare a difendersi nel caso in cui Victor desse di nuovo di matto quando non c'è nessuno nei paraggi. Cambiare di nuovo faccia, tornare a casa, guidare la macchina per tornare a casa, la macchina si ingolfa, la macchina va ancora portata da un meccanico, portare la macchina da un meccanico, Routh ha detto così, non pensare a Routh, potrebbe dare la macchina ai ragazzi, non pensare ai ragazzi, dov'è Austin? Marc ha chiamato di nuovo, richiamare Marc, richiamare Marc almeno una volta, magari domani, stasera non ce la faccio, stasera mi rilasso.

Jody le ha detto che adotterà una bambina, suppone nel modo sgangherato e illegale con cui Jody potrebbe adottare chicchessia, un'umana. Che è una cazzata non gliel'ha detto, la preferisce tranquilla, e poi ha smesso di litigare con lei. Le bacia le nocche, ringrazia Dio che Pearl gliel'hanno tolta, è lontana, che non è nei paraggi per ciò che avverrà. Torna a casa.

 Sì, torna a casa. Conta la quantità giusta, il mix esatto di droghe e farmaci per provocarle trentacinque minuti di serenità e poi una morte controllata, temporanea (chiama così un sonno senza sogni, senza Tiru). Keller le ha chiesto un ricordo, un momento buono passato con sua sorella, lei ha schiuso le labbra per dirglielo e poi è rimasta muta, ha detto che avrebbe preferito sorpassare l'argomento.

Conta le gocce, conta i granelli. Avrebbe potuto dirgli di quella volta che Tish lesse Il gabbiano Jonathan Livingston per la prima volta, e passarono le settimane successive a fuggire di casa la notte, sull'oceano, e a provare a replicare le stesse acrobazie aeree di Jonathan. Avrebbe potuto raccontargli di quello che Tish stava pianificando di fare piuttosto che andare al college: di come passarono giornate e giornate intere a pianificare l'anno sabbatico tra le superiori e l'università durante il quale sarebbero andate a vivere in una sorta di comune hippie in Florida dove si diceva che tutti i superumani usassero liberamente e senza giudizi esterni i propri poteri. Avrebbe potuto raccontargli del suo matrimonio, di come l'ultima cosa che hanno fatto insieme sia stata volare, anche se con le reti, anche se con i lividi, avrebbe potuto dirgli che tutti i migliori ricordi che ha di sua sorella sono ricordi di quando poteva volare e si concedevano il volo, ma poi avrebbe dovuto anche dirgli che la morte rovina ogni buon ricordo, lo contamina, lo rende inutile, buio e doloroso.

Marc la chiama di nuovo quando è già quasi del tutto partita. Gli risponde distrattamente, senza riuscire a sentire neanche i propri pensieri, e non fa caso a lui che le dice di aver infilato Sally nell'ennesimo centro di recupero per tossicodipendenti, e che sua madre si sta riprendendo, e che Jules ha ripreso più o meno a mangiare, anche se sta ancora a pezzi, e che forse è il caso che torni per l'apertura del testamento ma se non vuole non deve, può essersi su skype, e che ci sono ancora alcune cose da sistemare ma che tra poco, forse, tornerà a New York per finire l'album, a meno che non ci siano cose che lei ha bisogno che faccia in California, cose di cui ha bisogno che lui si prenda cura.

Di me, gli risponde Mare piagnucolando, e non gli ha mai detto niente di simile. Ho bisogno che ti prendi cura di me, non lo farà nessun'altro, gli confessa con il cervello ribaltato dalla fantasiosa chimica degli stupefacenti, quando torni, quando puoi tornare? Mi rispondi, quando torni?

Mentre lei continua a chiederlo, dall'altra parte del continente Marcus si fa scivolare le mani con il cellulare in grembo, desolato, ferito dal dolore di una perdita che nessuno gli ha ancora lasciato il tempo di elaborare. Ripensa alla prima volta che ha visto Tish, alla bellezza morbida del suo sorriso antico, alla saggezza dei suoi movimenti lenti, a tutte le cose che si sono detti in tutti gli anni che si sono conosciuti, poi pensa che non la rivedrà mai più, che in tutto il resto della sua vita non rivedrà mai più Tirunesh Sherman. Non è mai stato bravo ad essere all'altezza delle situazioni. La sua consueta tattica è sempre consistita nello scomparire per un po' e poi farsi rivedere ad acque calmatesi, ad acque placide, a ciclo entropico terminato. Dall'altra parte della linea qualcosa al centro del cervello di Mare deve averlo capito, perché le suppliche diventano singhiozzi, e i singhiozzi ci mettono poco a prendere il suono di imprecazioni, e poi insulti, e poi urla confuse, e poi solo collera. Smettono quando lei schianta il cellulare contro il muro, e Marc in California è ancora lì, con gli occhi lucidi, il desiderio di fuga incastrato nelle tempie e un bivio sotto i piedi.



We're falling now, can't make it stop
Our arms are open for the thing we want
But what we want just can't have
What could've been but the timing's bad
Don't cry cry baby now
You're my my Lady Luck

We follow the signs to make us meet
Into the night, to places no-one sees
I never learned from looking back
You picked me up from off my back
But now it seems our time has passed

Don't cry cry baby now
You're my my Lady Luck
You picked me up right off my back
I'd fallen down you brought me up
We shared the night until the morning comes to take us
Back away to where, we chose to belong
But maybe we're wrong but we gotta be strong
There's too much to loose
And maybe we're fools, who knows
Who knows, who knows

We follow the signs to make us meet
Into the night, to places no-one sees.