sabato 30 luglio 2016

Fruitful Exchanges

2023, Los Angeles

Donna le poggia le mani sulle spalle e la mette a sedere. "E' ora di fare quel discorso", le intima, e non ha intenzione di sentir ragioni.

L'annuncio della candidatura è ormai alle porte, e nessuno se l'aspetta. Il team è composto, i ruoli decisi, Donna Juliano saldamente al timone come campaign manager ha almeno dieci anni in più della sua candidata e quando il lavoro le è stato offerto era pronta a ritrasferirsi in New Jersey e occupare lo scantinato dei suoi genitori: l'unico posto che l'avrebbe accolta nonostante le voci sempre più insistenti sulla sua natura metaumana. L'equivalente di una pistola alla testa. Nessuno avrebbe puntato due soldi sulla candidatura di Mirabe Sherman, e Donna Juliano era la giusta combinazione di professionalità e disperazione per prendere l'incarico.

"Non ci possiamo girare intorno. Non possiamo saltare lo step. Ti stai candidando come una rivoluzionaria, mutante e pure mezza africana: le parti della tua identità che possiamo controllare, dobbiamo controllarle."
"Ed essere una lesbica impenitente non fa parte della nostra narrativa?"
"Lesbica?", geme Donna, "non eri solo bisessuale?"
Mare la guarda; le piace farla soffrire. "Va a periodi. La sessualità è fluida."

Donna sospira. Si passa la mano tra i capelli, il suo equivalente moderno del battersi i pugni contro il petto: è pronta a combattere (meglio: sa che le toccherà farlo).

"Beh, è meglio che cambi periodo e torni a farti piacere gli uomini molto in fretta, perché da oggi fino alle elezioni dovrai essere più etero di Nancy Reagan."
"No."
"Perché? Santo Gesù, se la tua sessualità è più liquida del vomito di un neonato, se hai deciso di candidarti per la carica politica più ambita in tutta la California e se sei abituata (come mi hai detto cento volte) a far buon viso a cattivo gioco, puoi (Dio benedetto) dirmi perché non puoi fingere di stare con un uomo per il tempo necessario a farti eleggere a sindaco della fottuta città e area metropolitana di Los Angeles?"
"Voglio vedere dove va a finire con Lola. Siamo molto innamorate."
Donna boccheggia. "Lola? Lola che conosci da un mese e mezzo, Lola la finalista del decimo ciclo di Mexico's Next Top Model che alla fine non ha nemmeno vinto? Quella Lola?"
"Mi fa sentire cose che non ho mai sentito prima."
"Ha quasi dieci anni meno di te."

Oh, Mare lo sa lo sa benissimo. Sa che è inaccettabile, sa anche che ha pensato tutta la settimana a come chiudere le cose con Lola, e l'unico motivo per cui non l'ha ancora fatto è la temporanea vacanza di lei dalla sua famiglia a Tijuana. Guarda la sua campaign manager con una faccia di marmo senza precedenti, e Donna pensa che avrebbe bisogno soltanto di una persona che la prendesse a schiaffi professionalmente. "D'accordo", le dice, colta da un'illuminazione: "allora mi dimetto".

Lascia casa sua a testa alta, senza neanche aver bisogno di guardarla per sapere di averla presa in contropiede.

- - -

E infatti due settimane dopo la trova attaccata al suo campanello, con un paio di occhiali da sole più grandi della sua faccia e un'espressione torva che le strappa un "porca puttana, va bene" (si capisce che è frustrata perché altrimenti non userebbe mai una profanità così profondamente radicata nel linguaggio sessista), "ma l'uomo lo decido io, ho già delle idee."
"No, per niente: ora ti metti comoda e ti presento le tue alternative. Ne ho tre."

Mare non ne è felice, ma si butta sul divano con le braccia incrociate al petto, scontenta ma arresa. Donna si assicura che resti lì passandole addosso un'occhiata densa di cautela, dopodiché va a prendere il fascicolo con i vari candidati. L'ha tenuto sul comodino per due settimane, sicura che quel momento sarebbe arrivato.

E infatti.

"Il primo è il Deputy Chief del Bureau Antiterrorismo e Operazioni Speciali--"
"Intendi... Los Angeles Police Department?"
"Sì."
"No."
"Ascolta, prima: è perfetto per la tua immagine, ti aiuta a bilanciare i tratti più... sovversivi del tuo programma. Un membro delle forze dell'ordine al tuo fianco rassicurerebbe gli elettori sui tuoi valori e--"
"Non ho intenzione di mettermi al braccio un individuo che lavora per un'istituzione pubblica che non permette l'ingresso di superumani al suo interno. Chi altro hai?"
Donna scuote il capo, infelice. Lascia cadere sul divano le informazioni del primo candidato, passando al secondo.
"Simon Rockberg. Trentadue anni, stella nascente del mondo delle startup tecnologiche, CEO del primo sito di social shar--"
"Nope. Nessuno dalla Silicon Valley. Il prossimo?"

Donna geme, avvilita. E' pronta a prendere le difese di Rockberg, ma Mare accavalla le gambe e si rimette addosso la consueta faccia di marmo che vorrebbe ogni volta prendere a schiaffi. Lascia cadere anche la seconda cartellina di documenti, e apre la terza con un sospiro quasi arreso.

"Meglio che questo te lo faccia piacere: Daniel Wolk, oncologo specializzato in tumori dell'infanzia, lavora al Mattel Children's Hospital e le famiglie di tutti i suoi pazienti hanno solo ottime cose da dire su di lui."

Donna guarda la sua assistita, e può intuirne nel modo in cui piega le labbra che stia per dare esito negativo anche su Wolk. Spalanca le braccia e alza la voce, esasperata: "dannazione, Sherman! E' uno stronzo che salva la vita a piccoli bambini con il cancro! Teste pelate e tubicini nel naso e tutto, che diavolo c'è che non ti convince?"

Mare riflette. Incassa il capo nelle spalle, oscilla il piede della gamba accavallata nel vuoto. "E' un mutante?"
"Non che io sappia, ma del resto a te serve un umano, o sembrerai chiusa in un ghetto."
"Lui cosa vuole? Che ritorno ne ha?"

Donna sospira a fondo. Si passa una mano tra i capelli e, con molta cautela, va a sedersi sul divano accanto alla futura candidata sindaco di Los Angeles.

"Non lo so. Un reality show, una diva di Hollywood da tenere al braccio, un feticismo per le superumane? Il suo pubblicista è stato fumoso a riguardo. Ma è così importante?" chiede, mentre le scruta il profilo crucciato. "Ti serve, Sherman. Ti serve più di quanto immagini. Credimi."

Mare espira dalle narici, combattuta. Le sembra di avere il muro dietro le spalle: Donna ha ragione, e lei ne è perfettamente consapevole.

- - -

"Sei un'ingenua", le aveva detto sua madre anni prima, gelidamente. "Marcus ti ha sempre girato attorno solo per star vicino a tuo padre, e adesso sta usando il tuo nome e la tua immagine per far credere che la sua rumorosa band da quattro soldi sia rilevante."
"Ti sbagli", le aveva risposto, "con noi è diverso, ci capiamo, stiamo bene insieme. Non vuole niente da me."
"Tutti vorranno sempre qualcosa da te." E aveva sorriso.

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Donna Juliano, 2023


giovedì 28 luglio 2016

Swelling Pride


"La cosa importante, però, è che tu capisca che tutto questo comporta per te dei rischi."

Mare è al centro della sala che compone lo spazio principale di Mutiny, e si strofina l'interno delle dita sulla fronte mentre aspetta, al cellulare, che dall'altra parte della linea qualcuno risponda. Ha copiato il numero da un bigliettino che ha dovuto passare mezz'ora a cercare, ma la provvidenza le viene incontro nascosta tra uno sciame di inquilini (almeno due per ogni appartamento in affitto del palazzo) che sale le scale e suona al suo campanello. Quando va ad aprire (ma la porta non è mai davvero chiusa), si ritrova davanti almeno dieci persone accigliate e impettite, capeggiate da Butch Rossum, un uomo con le spalle larghe e, sicuramente, un passato in qualche squadra di football liceale. Signorina Sherman, inizia a dire, e Mare sbatte le palpebre perplessa, con il cuore che le sta già affondando nello stomaco.

"Signorina Sherman, bene, è qui. Questa--" e le porge tre fogli spillati tra di loro, che lei prende tra le dita con una perplessità viva nello sguardo "--è la petizione, firmata da tutti gli inquilini del palazzo, che secondo il regolamento le impone di liberare i locali entro due settimane pena l'intervento della polizia nello sfratto."

Mare scorre gli occhi sul foglio senza davvero riuscire a leggere niente, mentre l'uomo continua a parlare sui suoi pensieri. Deve avere una cinquantina d'anni portati bene nei muscoli e male sulla faccia rossa, cotta da sole.

"Il regolamento ci permette di chiedere a un inquilino che ha portato avanti una condotta gravemente inadeguata di lasciare il palazzo."
"Sono... sono qui in affitto, come tutti voi. Pago ogni mese, come tutti voi..."
"Lei ha aperto in questo palazzo, residenziale fino al suo arrivo, una serie di individui poco raccomandabili, in violazione della legge di registrazione..."
"Che cosa?"

"Quel brutto ceffo che sembra il diavolo!" interviene una donna più giovane, con fianchi stretti e ciglia finte incollate sulle palpebre. "Quando gliel'ho chiesto mi ha detto che non ci pensava nemmeno, a registrarsi" 

"Scarlett scherzava, è regolarmente registrato."
"E chissà quanti altri come lui", continua Butch. "Il portone è costantemente aperto, e non voglio neanche parlare della violenza che ha portato nelle nostre case..."
"Hanno attaccato noi! Siamo stati noi le vittime!"
"In questo condominio vivono delle famiglie, miss Sherman, adolescenti e bambini che non possono crescere in un posto meno che sicuro. Quindi"
, e fa un cenno ampio e seccato verso il foglio che le ha consegnato "ha due settimane per trovare nuova sistemazione. Il proprietario del palazzo è già stato avvisato e le permetterà di pagare solo metà agosto se lascerà lo spazio libero entro il quindici."

La testa inizia a tornarle in ordine. Stordita, passa in rassegna tutti quei volti tondi, tronfi, soddisfatti. Per un attimo torna a sentire l'esigenza di rimpicciolire, assottigliarsi fino a scomparire, fino a riuscire a nascondersi negli interstizi del mondo ed essere lasciata in pace. Poi ricorda l'esercizio: respira. Espandi te stessa, allargati. Mare raddrizza la spina dorsale e allinea le spalle, come farebbe un buon soldato.

"Questo--" e spinge con il solo indice la petizione contro il petto di Butch. Lo vede gonfiarsi come un tacchino. "Ve lo potete infilare in gola. Io da qui non mi muovo. A costo di dover comprare questo palazzo di merda e cacciarvi uno a uno. Iniziate a cercarvi un altro posto, e che sia ben lontano da Bella Vista... perché nei letti in cui dormite adesso tra un mese ci saranno mutanti provenienti da mezza Pennsylvania. Fosse l'ultima cosa che faccio."

E' una questione di potere, e lei l'ha appena recuperato. Non lascia il tempo a nessuno di sottrarglielo di nuovo, e sbatte la porta in faccia agli inquilini un attimo prima che inizino a insultarla a pieni polmoni e a battere aggressivamente contro l'ingresso. Tre mandate per ognuna delle due serrature e poi il chiavistello non bastano a farla sentire di nuovo al sicuro. Ma non è importante. Riempie i polmoni d'aria e spalanca le braccia. Occupa spazio e non ha più intenzione di rimpicciolire, ed è l'unica cosa che conta.

"La cosa importante, però, è che tu capisca che tutto questo comporta per te dei rischi. Possiamo proteggerti, ma non possiamo prometterti che andrà tutto bene."
"Me ne rendo conto. Nessuno può promettere che andrà tutto bene."

domenica 24 luglio 2016

Burnt Bridges


La sveglia la posizione leggermente scomoda, un po' troppo contorta, che ha assunto sul divano, o più probabilmente lo squillo sonoro del cellulare che la fa trasalire. Si era appena riuscita ad addormentare, e quando riapre gli occhi incrocia un paio di elementi insoliti per la cui ricostruzione abbisogna di un secondo. Sospira, spinge il busto di lato, trascina i palmi sul tappeto fino a trovare gli shorts, e nella tasca degli shorts il cellulare. A quel punto è il quinto squillo, e nella fretta risponde senza controllare il mittente.

Il modo in cui sente trascinare hello gorgeous su una voce arrochita dall'alcol e da una risata sfiatata le fa gettare aria fuori dai polmoni con una certa rassegnazione. Ancora stesa, ma con mezzo busto sporto nel vuoto, solleva la mano libera e se la trascina sul viso, sulla fronte, poi tra i capelli. Guarda di lato e l'uomo che ha affianco si rigira ancora ad occhi chiusi, ma è difficile pensare che non si sia svegliato come lei. Ha dei tatuaggi? Lo nota adesso, le sembra per la prima volta. E nota che uno raffigura un drago: rotea gli occhi al cielo e soffia tra i denti un altro sospiro in cui si tende un velo di sufficienza.
- Sei ubriaco...
- Sono le tre del mattino, cos'altro dovrei essere, ah? Come stai, honey bunch, you lovely love muffin, you pretty naughty jellybean, mh?
- Ti ho chiesto più volte di non svegliarmi mentre dormo perché sei ubriaco, Marcus...
- Lo so, sono un fottuto insubordinato, vero?
Scivola giù dal divano molto piano, lasciando sulla pelle dell'uomo una carezza che scorre lungo la spalla. lungo il braccio, ne sfiora le dita e poi le lascia, andando a raccoglierle da terra una maglietta scura e pulita che non le appartiene. Se la infila piuttosto di fretta, poi si gira su se stessa per provare a individuare gli slip. La voce di Marcus se la sente addosso come carta vetrata.
- Ma non ti chiamo mica perché mi manchi you sweet, pretty moonpie, ah? Ho un Google Alert su di te e non squilla soltanto quando qualcuno mette una tua foto piccante online.
- Di che foto stai parlando?
- Fa un cazzo di casino anche quando ti succedono cose serie.
- Marcus, di che foto stai parlando?
Lo chiede alzando la voce, nelle corde vocali naviga un allarme attento, tutto teso. Un respiro sospeso.
- Nessuna foto lil' flower, è un modo di dire... ho letto che della brutta gente è venuta a disturbarti, t'ho chiamato per questo.
Mare riprende a respirare mentre si tira sui fianchi i lembi degli slip. Torce il busto all'indietro e con la coda dello sguardo coglie l'occhio aperto e quello chiuso dell'uomo che la osserva, senza invadenza, dal divano su cui è ancora steso. Lei sospira, si passa una mano sul volto e supera il tavolino. Imbocca l'uscita sul balcone e si accosta la porta-finestra alle spalle (non ha ancora imparato come sia una barriera acustica del tutto insufficiente).
- Non dici niente? Sei ubriaca anche tu? Non lo sai che è illegale?
- Sto bene, è stato uno spavento ma stanno tutti bene.
- Parlato con gli sbirri? Che dicono?
- Non molto... uno l'hanno arrestato.
- Bene, uno stronzo in meno a Philadelphia. T'hanno rovinato casa?
- Non è casa mia, è la sede... no, hanno buttato giù una porta ma non hanno fatto danni gravi.
- Good girl. Always knew you were a good girl. 
Mare abbassa il cellulare, si preme il microfono contro l'interno della spalla e tira indietro il capo. Può fare un sospiro profondo solo così, nascondendo l'esasperazione leggera che le appanna lo sguardo. Più lontano, più soffuso, ma non può fare a meno di sentire ugualmente la voce di Marcus dall'altro capo del telefono.
- E a proposito di stronzi in più o in meno... tieniti pronta, dieci giorni e sei mia, m-mh?
Lei storce le labbra, riporta il cellulare all'orecchio.
- Cosa?
- Che uccellino distratto che sei: abbiamo una data a Philly tra dieci giorni, non te ne eri resa conto? Caesar e Augustin non vedono l'ora di venire a far baccano dove ci sei anche tu, topolina. Meglio che inizi a raccogliere tutte le tue amiche più fighe da adesso...
- Tra dieci giorni hai detto?
- Sì, è quello che ho detto...
Mare si morde il labbro inferiore, e con gli occhi spazza la linea lunga della strada deserta sotto di lei.
- Oh shit, I'm so sorry. Quella settimana sono a Chicago, ho già prenotato i biglietti.
- E che ci fai a Chicago?
- Questioni accademiche. Incontro un'esperta in politiche d'inclusione nell'America post-razziale--
- D'accordo, d'accordo, lo so che sei un uccellino intelligente, love. Tutta la settimana, possibile? Al tuo amico scenderà una lacrimuccia, quando glielo dirò.
- Il mio amico?
- Non te l'ho detto di Jules? Sta in tour con noi anche lui.
- In-- lo state facendo aprire per voi?
- Oh fuckin' Jesus no-- con quelle lagne, che ti viene in mente. Era un po' a terra e adesso sta facendo il roadie. Racimola qualcosa, si compra qualche cosina che gli piace... Sei proprio sicura che non ci sarai?
Lei si strofina un palmo sul volto, dimenticandosi delle labili tracce di trucco che vi sono rimaste.
- Devo proprio andare, Marc. Ci sentiamo presto, okay? Mi faccio sentire io.
- Ma aspetta, prima risp--
- A presto, promesso. A presto.
Interrompe la chiamata con un sospiro di sollievo profondo. Ci mette un po' a scrollare le spalle, raddrizzare la schiena, liberarsi dal disagio. Poi torna all'interno dell'appartamento, rilevando con un vago dispiacere la posizione di Birkenhead: seduto sul bordo del cuscino, non più steso.

Lo raggiunge e si infila tra la sua schiena e lo schienale del divano, ma solo dopo aver abbandonato di nuovo il cellulare sul tappeto. Gli accarezza la spina dorsale (ce l'aveva anche qualche ora fa il tatuaggio in mezzo alle scapole?).

Gli chiede: "resta". Lui sfiata un sospiro profondo che nasconde il ritmo sincopato del cuore. Sorride, dice "okay".E mantiene la parola.


giovedì 21 luglio 2016

Pretty Things


Non ha nemmeno sedici anni (ma tutti le dicono che sembra molto più grande) quando, nel backstage di uno dei concerti di suo padre, un bell'uomo sui quaranta le poggia una mano sul ginocchio e le dice che, con un corpo come il suo, dovrebbe assolutamente dedicarsi all'alta moda. Gioca con i suoi riccioli mentre lei ride, blandamente a disagio, e le racconta di conoscere tutti gli stilisti famosi e che, se è disposta, potrebbe sicuramente trovarle un lavoro nel campo. Lui si chiama Daniel Seimetz, è il più importante fotografo di moda che Hollywood conosca, e tutti dicono che abbia un occhio per il talento. Mare lo racconta a suo padre il giorno dopo, ma Sally Sherman ha la testa troppo appesantita dalla sbornia della sera prima per poter riuscire a seguirne il discorso. Però non vuole darlo troppo a vedere - Mare è lì per passare un po' di tempo con lui durante le vacanze, un appuntamento sul calendario da mesi dopo l'ultima sfuriata telefonica ricevuta dall'ex-moglie per il troppo poco tempo che passa con le figlie - e allora le dice che sicuramente avrà successo, se vuole farlo, se è ciò che le interessa. You're so pretty, le dice, che nessuno al mondo ti direbbe mai di no.

Un anno dopo, in qualsiasi angolo della città si trovi il festino in cui è andata a finire (non ne è certa), sua madre se la va a riprendere. La trova sorridente, annichilita da qualche sostanza chimica su un enorme letto con lenzuola di seta occupato da almeno altre tre persone in condizioni simili. La prende per il polso così forte da farle male, e se la trascina via a testa alta, ignorando tutte le persone che si voltano per guardare la magnifica Rachel Carson camminare. Mare viene spinta nell'abitacolo della macchina mentre la confusione chimica viene pian piano sostituita da una mortificazione strisciante. "Ho un servizio fotografico domani", biascica. Rachel risponde: "no, non ce l'hai".

Se vuoi entrare nel mondo dello spettacolo, entra nel mondo dello spettacolo giusto, le dice Rachel. E' lei a trovarle i primi provini, a suggerirle di prendere il primo ruolo secondario a sedici anni e a darle la sua benedizione quando a diciassette le danno il ruolo femminile più consistente in "Headstrong", una piccola produzione indie nelle mani di uno dei più stimati registi emergenti di Hollywood, Jacob Reitman. Lui passa i mesi delle riprese a riempirla di regali e a scatenarle nel petto terremoti deleteri per la sua stabilità mentale e irrinunciabili per la qualità della sua performance. Tre anni dopo, Mare è nelle braccia del frontman di uno dei gruppi rock destinati a sfondare nel giro di pochi mesi. Piange di vergogna dopo l'uscita in rete di un video che la ritrae rotolarsi in un letto, nuda e bendata, con Reitman e il protagonista di Headstrong. Marcus, in un goffo tentativo di sdrammatizzare, le dice: "che ti frega, tutti scopano, non c'è niente di peccaminoso. E poi guarda: hanno preso sempre la tua parte buona. You look so pretty in it."

Una vita più tardi, si trova in uno scantinato infestato di topi da qualche parte nella Pennsylvania, al centro di una gabbia pensata per tenere chiuso all'interno un suo simile. E' una persona vera, completa, che sta facendo qualcosa di importante con il suo tempo e, per pochi attimi, ha stabilito una connessione sincera con chi ha accanto (per quanto sottotono, silenziosa). Sorride in modo ironico, provoca delicatamente perché premere i tasti delle persone le permette di testarle. Non si aspetta che l'uomo che ha davanti le schianti sulla bocca un bacio avido, da cui si sente consumata. Divorata. Nelle mani di Benedict Birkenhead, si sente questo: un oggetto del desiderio. Prezioso e ricercato. Raro. ma comunque inanimato. L'idea le fa torcere lo stomaco, le fa scattare tutti gli allarmi. La riempie di una rabbia antica e passiva per cui Birkenhead non ha colpe, ma è una diffidenza di cui non riesce a fare a meno. Per tutta la notte successiva non riesce a togliersi di dosso la sensazione di essere stupida - di essersi comportata stupidamente, di aver stupidamente permesso che anche quel briciolo di controllo su se stessa le fosse sottratto.

Glielo diceva anche Seimetz, ogni volta che diventava frustrato dalla sua espressività troppo marcata e dalle costole sporgenti che avrebbe dovuto ritoccare con photoshop. Non è così difficile, uccellino, urlava al cielo, esasperato. Inarca la schiena e sorridi, tutto qui! Just smile, and be the pretty, pretty thing you are.  

sabato 16 luglio 2016

Sad People



Ha rotto più cose di quanto avrebbe voluto, per sbaglio. E' tornata a casa e ha quasi strappato il vestito per la fretta con cui ha voluto spalancare le ali. Le ha fatto male, come le fa sempre, e le ha fatto male sbattere contro le pareti a ogni virata sbagliata, contro il soffitto a ogni lancio troppo intraprendente. Ha scoperto che, senza muri sopra la testa, è in grado di trascinare per almeno quindici metri un'altra persona con sé. Con partenza in verticale, solo i suoi muscoli e le sue energie per spostare aria dall'alto verso il basso. L'ha fatto con Inara, Inara le ha detto che sta evolvendo e lei è diventata più impaziente, più imprudente. Anche se non può permetterselo. Anche se vorrebbe essere fuori dai registri come Jeyne, fuori dalla griglia, dalle schedature. Vorrebbe essere libera.

Si avvolge nelle proprie ali quando si mette finalmente al letto, ma non ha sonno. Da quel guscio di piume digita a memoria il numero di Tish, e quando le risponde sospira di sollievo e mormora: mi mancavi. La sua risata non ha mai avuto nulla di cristallino, fin da quando era piccola. La voce di Tish è calda, ma non combattiva, sofferta, ma non sporca. Come mai mi chiami, Miramaremia? 
Tiru leggimi qualcosa che hai scritto tu. Puoi?

Tish sospira e dice okay, senza indagare. Conosce bene quella frustrazione. Fuori di sé e dentro di sé.




lunedì 11 luglio 2016

Bird Cage


Rientra a casa tardi, la prima cosa che fa è togliersi le scarpe. Poi gli orecchini, poi il lungo vestito blu che ha indossato per un'altra occasione ufficiale, un'altra serata frivola. Si inietta le mani tra i capelli e poi si passa sul viso acqua e sapone, strofinando finché il trucco non scivola tutto nel lavandino e lei somiglia di nuovo a se stessa. Senza rivestirsi, si porta al centro dell'unica stanza che compone il suo enorme attico, pareti vetrate e soffitti alti sei metri. Stringe i denti e gli occhi le si bagnano perché, dopo anni, ancora non si è abituata alla sensazione di ossa anchilosate che le bucano la pelle al centro delle scapole e le scivolano fuori dal corpo. Sbatte le ali. A volte si chiede se sia davvero come andare in bicicletta. Se non lo facesse per anni, sarebbe ancora in grado di volare?

Vola. In una stanza enorme, rimbalza da parete a parete come una falena irrequieta catturata in una scatola. Nonostante abbia ammucchiato tutto il mobilio addosso alle pareti, non è mai abbastanza precisa da non far cadere niente. Rompere qualche vaso, rovesciare qualche sedia. 

Ma lo fa lo stesso. Lo fa sempre finché non è esausta e piena di lividi, finché non ha sbattuto la testa contro il soffitto almeno dieci volte ed è stanca abbastanza da addormentarsi nonostante la frustrazione, l'insoddisfazione atavica che le macera nei polmoni. Un odio quieto, coltivato con costanza, nei confronti di tutto ciò che l'ha rinchiusa dentro una voliera.