martedì 18 aprile 2017

Sweet Company


Quando Mel le apre la porta, la prima cosa che fa è schiantargli sulle labbra un bacio con cui quasi lo travolge, nonostante ogni angolo del volto le faccia male anche al minimo movimento. Lui, incredulo e appena svegliatosi da un sonno sereno, fatica a mettere le informazioni l'una dietro l'altra. Ha bisogno di un attimo, e se lo prende come prende il viso di lei tra le dita, tastandone i lividi e l'cchio nero con un'espressione di sconcerto sofferente. Il suo accento di Chicago si trascina su ogni sillaba.

- Che cazzo ti è successo?
- Ti faccio schifo? 
- Eh?
- Rispondimi.
- No, ma chi ti ha pestato?
- Non te lo voglio dire.
- Che cazzo.

Gli prende le mani e se le conduce sui fianchi, poi lo spinge superando la soglia a richiudendosi la porta alle spalle. Non ha trucchi, e quando si toglie la maglia e i pantaloni, scalciandoli via confusamente, non fa nulla per dissimulare né le costole esposte né il livido sulla pancia né la rosa di cicatrici passate. Una volta le hanno rotto tutte le ossa che aveva da rompersi, comprese quelle delle ali, e non ha mai potuto dirlo a nessuno. Le ali: quelle le estrae, le batte e le libera. Trascinano con loro lampade, oggetti. Finisce tutto per terra, tutto sottosopra.

- Fai parte di un fight club o qualcosa?
- Qualcosa.
- Mi dirai mai che ti è successo?

Due ore dopo, Mel le bacia le ferite (quelle vecchie e quelle nuove) con devozione religiosa. Per farlo deve partire dalle caviglie e poi risalire.

- Sì, quando avremo conquistato Hyperborea e potremo viverci dentro.

Per un momento, un momento soltanto e molto breve, non si sente gravemente sola. Nella sua testa non c'è la morte di Tish, non ci sono Marc né Victor Miller, non ci sono Routh, Benedict e tutti gli amici sulle cui spalle non può piangere quando finisce ridotta in quelle condizioni e le fa male anche respirare, non c'è Heldrich Frost quando le chiede di fidarsi di lui né la collera erosiva di Jude, Amy che ha annullato il matrimonio e ha provato a ricontattarla dopo che la notizia dei funerali è diventata pubblica, non c'è Jules che macera da solo nel suo lutto dopo quasi quindici anni che si conoscono... Non c'è nemmeno Inara, semplicemente non c'è.

Però c'è Mel, che è un uomo ostinato e semplice, è un mutante come lei, registrato suo malgrado come lei, ha visto tutto ma la notte dorme comunque sereno perché sa di aver fatto del proprio meglio, e questo gli basta. Quando le raggiunge le clavicole, esita ad andare più su: vede per la prima volta i lividi sul collo, il segno chiaro di cinque dita ruvide piantate su una gola di cigno.

- Io a chiederti non ti chiedo niente, solo questo: stai bene?
- No.
- Hai bisogno di aiuto.
- No.
- Pensi che starai bene?

Batte le palpebre un paio di volte, poggia le pupille su di lui. Soffia dalle labbra un sorriso morbido.

- No, sinceramente no.

Mel la guarda restare ferma sopra le lenzuola sfatte. Tira su col naso e scrolla la testa, poi le spalle.

- That's fine. Just checkin'. 

Non dice nient'altro, però l'ultimo bacio glielo lascia proprio tra spalla e viso.