domenica 27 novembre 2016

Dropping Keys


"E' quello che vuoi fare, Miramàr?"

"E' il libro che credo di aver avuto sempre dentro, e quando mi sono seduta non ho avuto bisogno di schemi, bullet points, scalette: ho iniziato e due ore dopo avevo il primo capitolo. E' la visione di un progetto, e nel progettare quel futuro c'è la nostra storia. La mia, la tua, quella di nostra madre. Ma è anche la storia di tutti i superumani come noi, di quello che ci ha messo in ginocchio e di quello che potrebbe salvarci. Sono molte strade, ma portano tutto nello stesso luogo. Un luogo nostro. Un luogo libero."

* * *
The small man
builds cages for everyone
he knows.
While the mutant,
my sister,
who has to duck her head
when the moon is low,
keeps dropping keys all night long
for the beautiful,
rowdy
prisoners.

* * *
Loving me isn’t easy, 
I have sharp edges, 
I have missing parts.

Dalla raccolta di poesie "Hollow Bones",
di Tirunesh Sherman.

lunedì 21 novembre 2016

Revolution 30


Amelia è sottile. La saluta con baci sugli zigomi volatili, e ogni volta che vogliono vedersi hanno bisogno di prendere in mano le proprie agende a pianificare luoghi e momenti nei minimi dettagli. Lei si ritrova spesso a scrutarne i lineamenti e, quando affrontano l'argomento della Cittadella, Mare deve decidere quanto scaldarsi, quanto è disposta a dire e a farsi dire. Mantiene un tono moderato per opinioni radicali, ma comunque stemperate rispetto a ciò che pensa veramente. In macchina, sulla via verso Mutiny, decide di fare una deviazione per percorrere a distanza di sicurezza angoli di North Town vicino alle barricate. Mentre guida in silenzio, inizia a chiedersi se non sia diventata a pieno titolo un'estremista. Si risponde che sì, forse lo è, e lo pensa con una leggerezza che le riempie il petto di una risata allegra, liberata da una vita passata a farsi intimare moderazione mentre il mondo attorno a lei andava a puttane. "L'importante è mantenere la calma, miss Sherman", recita a voce alta ciò che le disse il preside dell'UCLA, dopo averla convocata di fronte a un comitato disciplinare, "calma e pacatezza possono risolvere ogni cosa, e portano di certo più frutti di tutto questo urlare." Mare batte i palmi contro il volante, accelera e urla, a pieni polmoni, come una ventunenne durante lo Spring Break.

Nick è deluso? Non ne è sicura. Ne guarda il colorito alla menta e per l'ennesima volta è costretta a mettere in discussione ognuno dei propri passi. Prima lo corteggia con l'idea di un cambiamento pacifico, tacendo come abbiano dovuto ripetere mille volte di non fare vittime tra gli umani da sfrattare, tacendo come uno di loro le abbia puntato contro un fucile a pompa e abbia premuto il grilletto, tacendo come abbia fatto parte del gruppo che ha vegliato sull'allontanamento di una famiglia dopo l'altra dalle loro case. Vorrebbe prendergli la faccia tra le mani, premergli le dita sulle tempie, baciargli entrambi gli occhi e farglieli riaprire sul mondo come lo vede lei, un posto ostile, pieno di nemici in fila per ottenere un barattolo del loro sangue. Si dice che non è consapevole di essere un mutante da abbastanza tempo, che non ha vissuto come un estraneo nel mondo tanto quanto l'ha fatto lei, che ora non è pronto a capire, ma un giorno capirà. Se lo dice, ma non può fare a meno di pensare che, un giorno, dovrà imparare ad accettare che non tutte le persone che vuole al suo fianco saranno necessariamente d'accordo con lei.

Ma alcune sì. Max è dalla sua parte. Lo scopre e lo riscopre ogni giorno, conquistata da un'incredulità che ha difficoltà a rimodellare. Ricorda le prime volte in cui hanno parlato, il distacco di lui e la sua inesauribile ostinazione a volerlo chiamare fratello, a stabilire un legame, a sentirlo parte della sua comunità. Quando si è affacciato alla porta di Mutiny, lei ha trasalito e si è chiesta cosa ci facesse lì. Quando se ne è andato, ha combattuto contro se stessa, dicendosi di dover operare maggiore cautela, un po' di sanissima diffidenza. Ma quando è andata a dormire sorrideva, e non è riuscita a fare a meno di riempirsi di una fiducia immensa e devota.

Jo si è fidata di lei. Ha distrutto una delle sue piante preferite e danneggiato la libreria, ma quando non sapeva dove andare, è andata da lei e le ha detto guardami, sono speciale anche io. Non ha pensato neanche per un istante che non avrebbe dovuto fidarsi? La notte gioca con i suoi capelli mentre dorme stesa accanto a sé, ne guarda i lineamenti morbidi e un corpo generoso in cui non legge privazioni. Per lei inizia qui, pensa, la scoperta di chi è veramente e la frustrazione di non poterlo dire al resto del mondo - oppure dirlo, e poi rassegnarsi a vivere una vita marchiata di nero, di lutto -. In mezzo ai suoi baci ha trovato un angolo di oblio, dimenticanza. E' una parentesi, ma una parentesi piacevole di cui spinge i limiti finché non è mattina, e non si rende conto che il suo frigo è vuoto e l'unica colazione che può offrire è un bastoncino di sedano intinto in caffè non zuccherato.

Benedict è un fantasma, vive in un limbo sospeso tra desiderio e diffidenza. Quando stanno insieme, lei si ritrova a oscillare fisicamente tra lui e lo spazio vuoto alle proprie spalle, magnetizzata da un uomo che non è più sicura di conoscere così bene e, allo stesso tempo, tirata indietro da tutte le cose che dovrebbe dirgli se davvero compiesse quel salto. Non è pronta, e di certo non lo è lui. Quando la mattina le suona la sveglia e non ha voglia di alzarsi, si nasconde sotto il piumone e scorre la rubrica del cellulare, stendendo piani di riserva per il matrimonio di sua sorella.

Tish è felice e Tish sta morendo, ma Mare si impegna per pensare solo alla prima parte. Galleggia in un oceano di negazione, affastella un impegno sull'altro e si preoccupa della propria pelle, della terapia, delle pasticche, della Guyana, della Cittadella, del suo cane che è costretta a lasciare ciclicamente da Routh, con le scuse più improbabili. Le rende improbabili appositamente: spera che lei dia per scontato che siano false, che in verità riguardino tutte le cure che sta facendo. Menzogne stratificate su altre menzogne, vorrebbe caderle ai piedi e chiederle perdono per ogni stronzata che le dice con un sorriso. La abbraccia meno di quanto vorrebbe, quasi temesse che la sua doppia (tripla, quadrupla) vita si indovini dalla tensione dei suoi muscoli.

A Inara invece non dice bugie, non tace verità: non vuole, almeno a qualcuno deve dire le cose come stanno. Quindi le racconta di Amy, e in parte le racconta anche di Birkenhead, seppur non pronunci mai il nome di nessuno dei due. Parlano di Martha's Vineyard, e sulle prime ride nell'immaginare Joseph Patrick Kennedy III così come l'ha conosciuto impacchettare i cimeli di famiglia e lasciare la sua villa sul mare alla popolazione superumana. Poi ci pensa di nuovo, inizia a contare, a considerare un piano programmatico in quattro, cinque anni. A pensare che forse la sua eredità potrebbe essere questa: un'isola libera. Un angolo di mondo libero. Inara le ha cambiato la vita, gliel'ha salvata, e ora le offre l'opportunità di cambiarla (di salvarla) a qualcun'altro. La mattina dopo, sotto il piumone, invece di scorrere la rubrica, mormora contro il lenzuolo l'iscrizione su una tomba: qui giace Mirabe Sherman, idealista feroce, mutante con ali solide e polmoni enormi, che liberò questa terra e ora si è meritata di dormirci dentro. Non ebbe mariti, mogli, non ebbe figli. La sua famiglia siamo noi, le abbiamo perdonato tutti gli errori perché ciò che ha ottenuto è più grande di ogni sbaglio che ha compiuto. 

E' una casa, e un posto dove vivere. La notte del suo compleanno, cinque minuti prima della mezzanotte, Marc si presenta alla sua porta con una bustina d'erba e un sorriso che lei, fosse una persona più coscienziosa, gli schiaffeggerebbe via dalla faccia. Invece lo fa entrare, fumano insieme, e passano tutta la notte seduti sul divano a guardare dei filmini di quando avevano diciott'anni, a prendere in giro le loro capigliature, a fingere di non passare tutte le sere a contarsi le prime rughe. Alla fine lui si addormenta sulle sue gambe, e lei gli accarezza i capelli disordinati, un velo di barba troppo tenera per essere quella di un ultratrentenne. Sulla nostra isola, per te non ci sarà spazio, gli mormora pianissimo, un respiro e un bacio che gli poggia sulla tempia con tutto l'affetto nostalgico di cui è capace. L'ha già perso, è ancora lì. Si addormenta anche lei dopo poco, i suoi sogni popolati da draghi e monumenti agli eroi.

mercoledì 16 novembre 2016

Right Angle

In Ohio piove e fa freddo, che novitá. Durante tutto il viaggio sull'autobus che l'ha presa da Cleveland, Mare ha preferito settare sveglie sul suo cellulare per tutte le pillole che deve prendere per il resto della settimana piuttosto che guardare fuori dal finestrino lo skyline grigio e piatto di una Youngstown in avvicinamento. Fabbriche dismesse si avvicendano in un calo industriale che dietro di sé ha lasciato il vuoto, e quando scende dal bus puó sentire lo smog inquinarle i polmoni come un tiro di arsenico vaporizzato. Jules la aspetta fuori da un'utilitaria che ha avuto giorni migliori, gli specchietti retrovisori tenuti su con lo scotch. Lei sospira e mormora: aria di Midwest.

Jules é nato quattro giorni (e qualche anno) prima di Mare e Tish Sherman. Tornava a casa sua (la fumosa Youngstown) ogni novembre, perdendosi il compleanno delle gemelle, finché un anno non decisero loro di spostarsi verso Ovest per poter festeggiare insieme. Da quel momento é diventata una tradizione: i coniugi Gold hanno una stanza degli ospiti piccola e calda, e ogni anno Mare e Tish restano qualche giorno a fingere di sapere come funzioni una famiglia normale, accogliente - e a sperimentarlo sulla loro pelle -.

John Gold é un uomo smilzo con una barba candida, Roselynn una donna imponente che la circonda con le braccia e quasi la stritola mentre le semina baci sulla testa. Odora della lavanda che si infila nel reggiseno, ma é calda, e a Mare sembra di avere freddo da una vita. É un effetto enorme e antico che quasi la commuove. Forse Tish se ne rende conto, perché la prende tra le braccia e le fa poggiare la testa sulla propria spalla, cullandola dentro le proprie ali morbide finché non le sembra di nuovo in sé. "É stato un anno difficile, - le mormora - ma ho buone notizie."

La buona notizia gliela legge negli occhi, prima ancora che a cena, quella sera stessa, mostri un anello all'anulare destro, il diamante da mezzo carato rende chiaro che stia sposando proprio Jules. La tavolata esplode di applausi e lacrime, e anche lei é felice, ma terrorizzata: anche nel ridere Tish é delicata, piú di quanto ricordasse, come se le ossa volessero evitare di essere sconquassate dal divertimento.

La sera Tish le si addormenta sulle gambe mentre Jules suona. Mare le accarezza le tempie e le ali usando solo la punta delle dita, terrorizzata dall'idea di farle male. "Rachel e Sally lo sanno?", chiede a bassa voce, e Jules le risponde ancora piú piano.
"No, volevamo che lo sapessi prima tu."
"E poi dove andrete?"
"Penso che ci sposteremo a sud, sulla East Coast."
"Miami?"
"Pensavo piú Palm Beach."
"In Florida, quindi."
"Siamo stanchi entrambi... della California, di L.A., di Portland. Abbiamo bisogno di un posto tiepido, per Tish, e lí un mio amico ha un lavoro per me in una scuola di musica."
"Qualcosa con una busta paga?"
"Qualcosa con una busta paga."

Jules ride, Mare sorride amareggiata. Percorre con la punta dell'indice la linea fragile della mascella di Tish, guardandola a bocca chiusa.

"Marcus dovrebbe arrivare domani in serata."
"Lo incroceró all'aeroporto: riparto in serata anche io."
"Hai da fare a Philadelphia?"
"Ti ha detto cosa le dicono i medici?"

La domanda é cosí improvvisa che per un attimo a Jules gira la testa. Poggia la chitarra e si va a sedere dall'altra parte del divano. Si poggia i piedi di Tish sulle gambe, e sfiora a stento le ali richiuse sulle sue spalle.

"Dovresti chiederlo a lei."
"Tra quanto vi sposate?"

Jules tentenna, sospira. "Il mese prossimo."

Mare sente una voragine aprirsi dentro. Il vuoto industriale, lo smog velenoso, aria di Midwest. Invece di piangere, come vorrebbe, si annoda la gola e gli mormora, quasi senza voce: "puoi suonarmi qualcosa che hai scritto per lei?"

Jules dice okay.

 

You have found me on the other side of a loser's winning streak
Where my thoughts all wander further than they should
Let me sing to you my solitude, let me pay for your next drink
Let me defend these hearts which are so rarely understood

From the right angle, in the right light
I might seem like I could take care of you
For a brief moment, for a few nights
Until the changing world has tumbled back into view

When nothing really matters the world gets harder to resist
And saves you a place at the end of an empty glass
I am here as a reminder, the quick glance off of a cliff
I guess that's why I though you would never ask

From the right angle, in the right light
I might seem like I could take care of you
For a brief moment, for a few nights
Until the changing world has tumbled back into view

At the scene of all I've left unlearned, in the directions to your house
In every swing I took to crack the code
I need a cold beer from a dressing room, I need a string of dates back out
I think there are a few of us that still belong out on the road

From the right angle, in the right light
I might seem like I could take care of you
For a brief moment, for a few nights
Until the changing world has tumbled back into view

Until all you want is all I know how to do
I might seem like I could take care of you

sabato 12 novembre 2016

Mutate Elsewhere


- Come già sa, è un trattamento che abbiamo avuto modo di testare così poche volte da rendere impossibile tracciare una timeline precisa e universale degli effetti...
- Ogni corpo reagisce diversamente.
- Esatto, è ciò che le ho detto più volte. La prego quindi di persistere, e non agitarsi.
- L'agitazione per me è lo stato dell'arte. La sconfitta, invece, ho difficoltà a riconoscerla. Spero per questo che sarete puntuali e chiari nel comunicarmi il momento in cui potrò smettere di sentirmi agitata e dovrò iniziare ad essere rassegnata. 
* * *

...E non so quale sia il tuo potere, Jason, ma l'unico modo in cui io sono utile a questa causa è impiegando la mia reputazione. Se quella viene distrutta, il mio ruolo in questa organizzazione lo è a sua volta.

* * *

[ La foto di una berlina su cui qualcuno ha lanciato uova marce e scritto con una bomboletta spray "MUTA ALTROVE". ]

* * *

[...] La ribellione è doverosa-- « prende un altro respiro profondo, quasi secco, che sembra contenere un grumo di frustrazione che si scioglie in un sorriso obliquo, dal sapore amareggiato. » ma non importa a nessuno. Se tutti facessimo ciò che è giusto, avremmo bruciato questo intero paese da tempo.

giovedì 3 novembre 2016

Plaza Revoluciòn


Wes torna da lei con un bicchiere di Paloma guarnito con una fettina di lime. "Sai che non posso", dice lei gentilmente, prendendolo in mano. "Sarà il nostro piccolo segreto", lui risponde facendole un occhiolino e ricamandole una carezza sulle dita.

Lei lo beve tutto, ma è perché lo vuole o perché pensa di volerlo? Ingoia la diffidenza a sorsi, ma non la lascia trapelare. Si è vestita bene, con un abito corto ma non volgare, anche se si sente congelare e vorrebbe solo prendere il cappotto e chiudercisi dentro. I tacchi alti non le lasciano riposo alla caviglia, e non può fare a meno di chiedersi, a un certo punto, se il potere di Wes non sia in fondo una splendida metafora di tutta la sua vita passata a farsi dire come vestirsi, come sentirsi, come vivere. Sono ancora io, si dice, cin cin.

Parlano del motivo per cui lei è lì, per un po'. Lui rimane sul vago, oscilla il capo e il bicchiere, lasciandole capire che ha gli strumenti per aiutarla, senza però offrirgliene. Invece di aspettare il secondo drink e accettarlo passivamente, è lei ad alzarsi per prima e andare a preparare i cocktail: un Old Fashioned per lui (per dimostrargli che lo conosce), un altro Paloma per sé (per blandirlo con l'idea di conoscerla). Dopo il secondo drink, sorridere le viene più facile (ma è l'alcol o è lui?), bene, mette la canzone che suonavano la sera che lei andò a proporgli di essere il primo repubblicano in campagna elettorale a portare la bandiera dei diritti superumani, lui ride, bene. Sua madre una volta disse che questo mondo è una partita a scacchi, lei lo ricorda ancora. Torna a sedersi, ma questa volta sul divano accanto a lui. "Ti sono mancata?", gli sfiora le maniche rimboccate della camicia. "Da morire", mente lui, una moglie e due figlie ad aspettarlo a New York (lei sterile, loro adottate, nessun pericolo di trasmissione del gene X da padre in figlia, un segreto custodito al sicuro e rivelato a lei per sbaglio, per mancanza di controllo, anni prima).

"A cosa ti servono tutte queste informazioni? Stai organizzando una guerra?": lei ride e non risponde, invece lo prende in giro per avere anche solo pensato una cosa del genere. Getta il capo all'indietro ignorando le raccomandazioni di chi le ha detto che, con la terapia in corso, qualsiasi sostanza esterna dovrebbe essere evitata (alcol, gliel'hanno fatto capire bene). Ignora anche che non essersi sentita troppo male, questa settimana, è un segnale negativo: che abbia smesso di funzionare? Che non abbia mai funzionato? Wes ha la risata migliore che abbia mai sentito e se ne sta accorgendo solo ora? Ha denti bianchi e ogni tanto, quando dice qualcosa in spagnolo, la sua voce si fa più calda. Gli passa le dita tra i capelli neri. Sono io, sono ancora io, o lo sta facendo lui?

* * *

Con Inara si prende un attimo per sognare, uno solo. Georgetown diventerà Libertad e loro potranno andare a far colazione in Plaza de la Revoluciòn. Qualcuno scriverà canzoni su coloro che hanno liberato la Guyana, poi l'America Latina, poi il mondo. Quando esce dalla stanza di hotel di Wes, rimane nell'abitacolo della macchina spenta a prendere appunti prima che possa dimenticarsi tutto, odiandosi come al solito. Ma era lei? O era lui? Ore dopo, si risveglia nel proprio letto dopo aver sognato sua madre, così come la ricorda. Si sveglia in un altro corpo, chiusa nelle proprie ali.

* * *

Il giorno dopo si infila in tacchi alti (la caviglia, la dannata caviglia) e in un vestito d'oro che brilla anche sotto la luce più tenue. Si ferma in cima a una scalinata e respira i jazz dalle narici, se ne riempie i polmoni. Esamina la sala circostante dall'alto, come se ne fosse la regina. Ferma gli occhi dalle parti del bancone, il petto le si scalda. Sorride. Sono io. Ora sono io.