sabato 22 ottobre 2016

Please Wait


(Non avevi detto che...
Potrei aver mentito.)

Mare torna a casa la sera ormai tardi, dopo aver girato nel nulla per ore, in macchina, per qualche motivo sicura che qualcuno la stesse seguendo. La accoglie una cagnetta affezionata a cui deve ancora trovare un nome, e quando la porta a spasso e qualcuno le chiede come si chiama, si limita a inventare.

Sul tavolino all'ingresso trova un pacco postale che Scarlett deve averle lasciato ore prima. Il timbro postale dice Portland, quindi sa già cos'è (è stato annunciato). Scavalca le bollette senza neanche guardarle e va a mettersi sul divano. La sveglia del suo cellulare squilla, lei prende un paio di pillole che ha in tasca e le manda giù. Sospira.

(Speravi che me ne andassi... o che restassi?)

I bambini sono quattro, non tre: aveva informazioni sbagliate. Ad una prima occhiata tre, cinque, dieci e sedici anni, più un vecchio e una donna di una quarantina d'anni. I piccoli sono tutti diversi, e nessuno di loro somiglia alla madre, ma dietro la madre si nascondono quando un gruppo di sconosciuti entra in casa loro a informarli che devono andarsene. Il sedicenne no: si butta in avanti e prova ad aggredirla con una mazza da baseball, ma qualcuno di più grosso di lui lo prende per la collottola e lo inchioda a terra.

(Per cui ora ti dirò questo, e tu potrai farne quello che vuoi.)

Aspettate, prega l'anziano mentre vengono scortati fuori, aspettate, vi prego. Non hanno altri posti in cui andare, nessuna famiglia all'infuori di loro, che cosa potranno fare? Il clima è ancora tiepido, si dice lei, e riusciranno a trovare una soluzione prima che diventi inverno. Spinge sotto il tappeto tutto ciò che ha studiato sui corsi e ricorsi della povertà, ma non riesce a fare a meno di pensare di essere, ancora prima che una mutante che caccia degli umani, una privilegiata che sottrae un tetto a una famiglia in difficoltà.

(Potrò essere più... precisa, nell'immaginare il futuro.)

Un brivido le suggerisce che potrebbe starle tornando la febbre. Come ha imparato, si prende il polso e conta i battiti al minuto. E' ancora sotto controllo, si dice, non ha motivo di preoccuparsi. E ha ancora un giorno intero prima della prossima seduta, lunedì mattina. Prende in mano il pacchetto e lo scarta. E' un volumetto di una novantina di pagine, sottile e con un'illustrazione espressionista in copertina. Di Tirunesh Sherman. Il titolo della raccolta di poesie è "Hollow Bones".

(Ero furiosa. Non stavo ascoltando.)

Non piange solo perché non ne ha più forza, ma il sospiro che prende le si spezza a metà. Solleva la copertina e sfoglia le prime pagine. La dedica dice: "a chi mi somiglia".

(Devi solo... darmi un attimo. Un attimo soltanto.)

E tutto avrà senso, di nuovo.

- - -

Forget the ink, the milk, the blood—
all was washed clean with the flood
we rose up from the falling waters
the fallen rain’s own sons and daughters
and none of this, none of this matters.






martedì 11 ottobre 2016

The Party



"Qui va bene?"

La festa é iniziata da un po', lei é in elegante (spaventoso) ritardo, ma di proposito. É una cosa che le insegnó sua madre da piccola: alle feste, arrivare primi é peccato.

L'autista della limo - si chiama Andrew - non riceve risposta, guarda nello specchietto retrovisore. Tamburella delicatamente le dita sul volante, strattonando rapidamente lo sguardo di lato quando si sorprende a indugiare sullo scollo del vestito.

É uno splendido vestito. Lungo e morbido, di un blu sfumato nell'azzurro e con tonalitá che complimentano la sua carnagione. Ha dipinto le labbra dello stesso colore della pelle e caricato gli occhi di un trucco luminoso ed eccentrico, impossibile da non notare. I capelli ricci modellati in una cresta diagonale completano un aspetto quasi alieno, rapace. Si é preparata per essere notata, ma invece tentenna. Tocca il tessuto.

"É uno splendido vestito", Andrew accenna, tanto per testare se lei ci senta o meno. La vede schiudere le labbra in un sorriso divertito, malinconico. Ridere piano senza alzare gli occhi dalle proprie mani sottili.

"É in vendita, qualora ti interessasse."
"Vuole che mi avvicini di piú all'ingresso...? O che mi allontani."

L'insegna luminosa si riflette sul finestrino. É un mondo splendente, le é familiare: é anche il suo, non é cosí? Non c'é posto in cui dovrebbe sentirsi piú a casa sua che a una festa data da una star hollywoodiana. Soprattutto una a cui vuole dimostrare qualcosa.

"Come ti chiami?"
"Andrew, miss."
"Andrew. Devi perdonarmi, temo di averti fatto un viaggio inutile. Ti dispiacerebbe riportarmi a casa?"

Andrew guarda di nuovo nello specchietto retrovisore.

"É sicura?"

Lei sulle labbra ha ció che resta di quella risata malinconica. Poggia il busto contro lo schienale morbido del sedile.

"No. Ma tu portamici lo stesso." 

Prende un sospiro. Sembra non finire piú.

venerdì 7 ottobre 2016

Twelve Weeks


In Guyana é caldo, Abay respira a pieni polmoni e per la prima volta da settimane non sente gelarsi da dentro. Neanche l'umiditá riesce a opprimerla: per la prima volta dopo una settimana infernale non sente dolore osseo, nausea, vertigini, disorientamento, stanchezza. Gli effetti dell'ultimo ciclo di terapia sono scemati, e ha ancora un paio di giorni prima di dover tornare alla centro medico che la sta seguendo, a New York, per riniziare tutto daccapo.

Ma quella non é Abay, é Mare Sherman, e Mare Sherman si é data altri tre mesi di tentativi prima di gettare la spugna. Mare Sherman si é segnata l'ultimo giorno di terapia sul calendario, l'ultimo giorno in cui chiederá al suo corpo di fare uno sforzo sovraumano, superumano. Mare Sherman sa che a un certo punto si stancherá di passare le sue giornate senza l'energia necessaria ad alzarsi neanche dal letto, con la testa piena di incubi e di mantra che si ripete per non pensarci.

Ad alcuni ricordi torna sempre: non sono molti, ma sono i suoi preferiti. In uno lei e Tish prendono un motoscafo fino al largo e poi spalancano le ali e passano ore a volare, dall'alba fino a mattina inoltrata. Sfiorano l'acqua dell'oceano con i piedi e seguono un branco di delfini che nuotano sopra e sotto le onde dolci. In un altro, mezza Los Angeles rimane al buio a causa di un black out che dura un'ora piena, proprio l'ultima sera di uno dei weekend che la corte ha imposto che passi con suo padre, e lui nel panico del silenzio (niente tv, niente film, niente videogiochi) tira fuori la chitarra e le fa cantare tutte le sue hits, senza elogiarla, ma ridendo piano e scuotendo il capo ogni volta che finisce una canzone in un modo che le fa sentire una connessione sincera che ha disperatamente cercato per anni dopo il divorzio.

In un altro ancora, balla a piedi nudi sull'erba, all'Independence Park.

Dodici settimane, si ripete Mare Sherman mentre si addormenta stretta nelle proprie ali nella speranza che riescano a scaldare l'aria che le arriva poi nei polmoni. Ma ad Abay non importa: quando é in volo, il suo organismo non perde un solo colpo, perché sta facendo esattamente ció che é stato creato per fare. Quando Mare Sherman si nasconde sotto i piumoni durante un settembre ancora tiepido, si chiede se non sarebbe meraviglioso fare, per tutta la propria vita, esattamente ció che si é stati creati per fare.

Mare Sherman siede nella sala d'attesa di uno studio medico. Si fa accompagnare alla sua poltroncina e vi rimane composta mentre le cercano le vene, e quando gliele bucano non si lamenta. Per tutto il tempo della terapia, legge. Quando esce é quasi sera, e sa di avere tra le sette e le dieci ore prima di iniziare a sentirsi male. A volte lavora, piú spesso cerca spasmodicamente un briciolo di vita. Si trucca e si mette scarpe alte e scorre la propria rubrica alla ricerca di persone da visitare. Quando non le va di andare in giro su scarpe scomode, bussa semplicemente a casa di Marc, e si lascia irretire dalla familiaritá della sua presenza in un mondo che non le sembra mai il suo.

Ma non Abay, Abay non ha bisogno di radici perché Abay non appartiene alla terra, ma al cielo. Se Mare Sherman va avanti gemendo una settimana ancora, Abay ha deciso perfettamente il momento in cui sará abbastanza. 

Cosí, quando Inara le chiede se non ci siano strade alternative da percorrere, o altre cose che puó fare, Mare Sherman non risponde. Ma dentro, Abay conosce giá la risposta: vivere il tempo che mi é stato dato da vivere. E viverlo facendo in modo che sia abbastanza. Del resto, non le é forse stato dato esattamente ció che é stato dato a tutti gli altri? 

Una vita. Fai che basti.