venerdì 7 ottobre 2016

Twelve Weeks


In Guyana é caldo, Abay respira a pieni polmoni e per la prima volta da settimane non sente gelarsi da dentro. Neanche l'umiditá riesce a opprimerla: per la prima volta dopo una settimana infernale non sente dolore osseo, nausea, vertigini, disorientamento, stanchezza. Gli effetti dell'ultimo ciclo di terapia sono scemati, e ha ancora un paio di giorni prima di dover tornare alla centro medico che la sta seguendo, a New York, per riniziare tutto daccapo.

Ma quella non é Abay, é Mare Sherman, e Mare Sherman si é data altri tre mesi di tentativi prima di gettare la spugna. Mare Sherman si é segnata l'ultimo giorno di terapia sul calendario, l'ultimo giorno in cui chiederá al suo corpo di fare uno sforzo sovraumano, superumano. Mare Sherman sa che a un certo punto si stancherá di passare le sue giornate senza l'energia necessaria ad alzarsi neanche dal letto, con la testa piena di incubi e di mantra che si ripete per non pensarci.

Ad alcuni ricordi torna sempre: non sono molti, ma sono i suoi preferiti. In uno lei e Tish prendono un motoscafo fino al largo e poi spalancano le ali e passano ore a volare, dall'alba fino a mattina inoltrata. Sfiorano l'acqua dell'oceano con i piedi e seguono un branco di delfini che nuotano sopra e sotto le onde dolci. In un altro, mezza Los Angeles rimane al buio a causa di un black out che dura un'ora piena, proprio l'ultima sera di uno dei weekend che la corte ha imposto che passi con suo padre, e lui nel panico del silenzio (niente tv, niente film, niente videogiochi) tira fuori la chitarra e le fa cantare tutte le sue hits, senza elogiarla, ma ridendo piano e scuotendo il capo ogni volta che finisce una canzone in un modo che le fa sentire una connessione sincera che ha disperatamente cercato per anni dopo il divorzio.

In un altro ancora, balla a piedi nudi sull'erba, all'Independence Park.

Dodici settimane, si ripete Mare Sherman mentre si addormenta stretta nelle proprie ali nella speranza che riescano a scaldare l'aria che le arriva poi nei polmoni. Ma ad Abay non importa: quando é in volo, il suo organismo non perde un solo colpo, perché sta facendo esattamente ció che é stato creato per fare. Quando Mare Sherman si nasconde sotto i piumoni durante un settembre ancora tiepido, si chiede se non sarebbe meraviglioso fare, per tutta la propria vita, esattamente ció che si é stati creati per fare.

Mare Sherman siede nella sala d'attesa di uno studio medico. Si fa accompagnare alla sua poltroncina e vi rimane composta mentre le cercano le vene, e quando gliele bucano non si lamenta. Per tutto il tempo della terapia, legge. Quando esce é quasi sera, e sa di avere tra le sette e le dieci ore prima di iniziare a sentirsi male. A volte lavora, piú spesso cerca spasmodicamente un briciolo di vita. Si trucca e si mette scarpe alte e scorre la propria rubrica alla ricerca di persone da visitare. Quando non le va di andare in giro su scarpe scomode, bussa semplicemente a casa di Marc, e si lascia irretire dalla familiaritá della sua presenza in un mondo che non le sembra mai il suo.

Ma non Abay, Abay non ha bisogno di radici perché Abay non appartiene alla terra, ma al cielo. Se Mare Sherman va avanti gemendo una settimana ancora, Abay ha deciso perfettamente il momento in cui sará abbastanza. 

Cosí, quando Inara le chiede se non ci siano strade alternative da percorrere, o altre cose che puó fare, Mare Sherman non risponde. Ma dentro, Abay conosce giá la risposta: vivere il tempo che mi é stato dato da vivere. E viverlo facendo in modo che sia abbastanza. Del resto, non le é forse stato dato esattamente ció che é stato dato a tutti gli altri? 

Una vita. Fai che basti.